“Non sarà una guerra contro i mafiosi a cambiare Brancaccio, ma la resistenza paziente e costante all’ignoranza e alla miseria.”

Dopo essermi innamorata della sua ultima uscita, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita, ho deciso di leggere subito un altro romanzo di Alessandro D’Avenia.

Sto parlando di Ciò che inferno non è, edito da Mondadori nel 2014.

Romanzo che anticipa alcuni temi trattati poi nell’Arte di essere fragili come l’adolescenza, la ricerca della bellezza e del senso della vita.

“Cosa è tutta questa vita scomposta dentro di me a cui non riesco a dare nome?”

Ciò che inferno non è è un romanzo di formazione, che attinge a piene mani dalla biografia del suo autore, nato in quella parte di Sicilia che fa da sfondo alla storia.

Protagonista è il diciassettenne Federico, nato e cresciuto nella Palermo bene in una famiglia benestante. Come tutti gli adolescenti però, nonostante la vita agiata e dal luminoso futuro già scritto per lui, è pieno di domande sulla vita e sul mondo. Perché l’adolescenza è realmente “un miscuglio di parole ancora non articolate nella sintassi del futuro”.

Siamo nell’estate del 1993 e Federico è coinvolto da Padre Pino Puglisi (affettuosamente soprannominato 3P) in attività di volontariato a Brancaccio, quartiere di periferia controllato dagli uomini di Cosa Nostra. Siamo esattamente un anno dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio e durante l’ultima estate di Padre Puglisi che sarà ucciso dalla mafia nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 settembre 1993.

In questa calda estate dei primi anni ’90, Federico scopre il lato più oscuro e crudele della sua città, buttato fuori dal guscio protettivo in cui lo vorrebbe costretto la sua famiglia, che cerca per lui il meglio: l’istruzione migliore, costose vacanze studio, le giuste amicizie.

Nelle settimane trascorse a Brancaccio Federico impara a conoscere le vite dei ragazzini che frequentano il quartiere: Francesco, Maria, Dario, Giovanni, Serena e soprattutto Lucia. Tutti bambini e ragazzi dal passato problematico e dal difficile presente.

La figura di Federico, con le sue fragilità, la sua profondità e il suo amore per gli autori classici, è sicuramente la trasposizione letteraria proprio di D’Avenia, che sappiamo aver conosciuto padre Puglisi da adolescente poiché il prete fu docente di religione proprio nel liceo frequentato dallo scrittore.

“Non basta leggere libri per essere uomini. Non bastano pensieri buoni per essere uomini buoni”.

Ciò che inferno non è è un romanzo sulla vita e su chi la dedica al prossimo in modo gratuito, poiché se è giusto ricordare chi ha combattuto la mafia con le armi della legge, Falcone e Borsellino prima di tutti, è altrettanto giusto ricordare chi l’ha fatto con le armi dell’amore e con la sola forza delle proprie braccia.

“Due uomini stanno camminando su una spiaggia, una tempesta ha scaraventato sulla sabbia un tappeto di stelle marine. Sembra un cielo stellato al contrario. Il sole le sta bruciando, senza pietà. Le stelle marine si contorcono lentamente, prima di cristallizzarsi del tutto. Uno dei due ogni tanto si china a raccoglierne una e la ributta in mare. Sono migliaia e migliaia. L’altro ha fretta di tornare a casa e gli dice <<Che vuoi fare, ributtarle tutte in mare? È impossibile. Ci vorrebbe una settimana. Sei matto?>>. L’altro gli mostra la stella marina che ha in mano, e subito prima di lanciarla in acqua risponde: <<Pensi che lei dirà che sono matto?>>”

Penso che il senso del romanzo stia tutto qui. Nel rispettoso ricordo dovuto a chi ha provato a salvare quelle stelle, quelle vite, una a una, con fatica ma sempre con il sorriso sulle labbra a mascherare il sudore sulla fronte. Non dando retta a chi lo credeva pazzo. Amando la vita ma pronto a sacrificare la propria per gli altri, secondo un senso di altruismo in parte sicuramente riconducibile alla propria fede cattolica, ma soprattutto l’altruismo di chi rispetta ogni forma di Vita in quanto tale.  Che è pronto, in un estremo atto d’amore, a perdonare anche i propri carnefici, riconoscendo in loro gli stessi occhi dei bambini che cercava di salvare ogni giorno.

Perché questo sappiamo dalle confessioni di chi ha ucciso Padre Puglisi: che ha sorriso davanti agli uomini che stavano per ammazzarlo; li stava aspettando. Un uomo che ha portato con sé il sorriso anche nel suo ultimo viaggio, consapevole di non aver nessun rimpianto: ha dato e ricevuto tutto.

Ciò che inferno non è è un romanzo sulla libertà negata a chi è costretto a nascere e vivere dove la mafia è l’unica scuola, dove l’omertà è l’unica maestra e la violenza è la penna con cui scrivere il proprio destino.

Un romanzo per meditare che anche questo è stato, e che la mafia che è stata capace di ammazzare un prete innocente esiste ancora. Un libro da leggere di pancia e di cuore, tutto d’un fiato.

“ […] Inferno è ogni bellezza volontariamente interrotta. […] Inferno è non vedere più l’inferno. […] Miseria. Ignoranza.”

Ciò che inferno non è è la storia della speranza di un uomo che, da solo, ha combattuto contro quell’inferno nell’unico modo in cui era capace: facendo il prete. Cercando di portare i bambini lontano dalla strada, perché è proprio dai bambini che si deve ripartire per ricostruire un futuro che inferno non è. Battendosi per avere nel quartiere di Brancaccio servizi che potrebbero sembrare assolutamente scontati: fognature, una scuola media, un giardino.

La storia di un uomo che si è battuto con tutta la forza di chi è consapevole che esiste una vita che continua oltre la propria, ed è per quel futuro che si deve lavorare. Che per quella idea di futuro vale anche la pena morire.

“Se nasci all’inferno hai bisogno di vedere almeno un frammento di ciò che inferno non è per concepire che esista altro.”

Alla fine del libro, D’Avenia ringrazia il lettore che ha impiegato delle ore del suo tempo per leggere il libro. Vorrei invece ringraziare lui per averlo scritto, per la fortuna che nel nostro paese esistano degli autori così raffinati e profondi.

Il sacrificio di Padre Puglisi non è stato vano: a Brancaccio la scuola media intitolata a suo nome è stata inaugurata il 13 gennaio 2000.

Lui non ha potuto vederla. Come ci ricorda D’Avenia: chi semina datteri sa che non mangerà datteri, perché ci vogliono almeno due generazioni perché l’albero dia frutto.

Ma prima o poi il frutto arriva.

ciò che inferno non è davenia.jpg

7 risposte a "“Non sarà una guerra contro i mafiosi a cambiare Brancaccio, ma la resistenza paziente e costante all’ignoranza e alla miseria.”"

    • Paola Cavioni 20 marzo 2017 / 5:18

      Ammetto che alla fine del libro mi sono commossa, D’Avenia tocca veramente il cuore. Grazie mille per il tuo commento, a presto =) . Paola

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      • mariapiamonda 20 marzo 2017 / 19:23

        Anch’io mi sono commossa tanto 😊! Questo libro peraltro mi è servito per ricredermi dell’opinione non proprio positiva su D’Avenia, derivatami dalla lettura di Bianca come il latte Rossa come il sangue. Ciao!

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      • Paola Cavioni 20 marzo 2017 / 19:38

        A me era piaciuto anche il primo romanzo, anche se decisamente “acerbo” e adatto ad un pubblico di adolescenti/giovani adulti. Negli anni e’ migliorato un sacco, e anche io ammetto di essermi commossa alla fine del libro.. 🙂

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