Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.
(Giuseppe Ungaretti)
C’è qualcosa di affascinante nell’imperfetta malinconia dell’autunno, che mi ricorda tanto quella di noi esseri umani.
Stagione di cambiamento, di transizione, in cui apparentemente non accade nulla di eccezionale.
Apparentemente.
Eppure.
Da settembre in poi nulla è immobile, è un susseguirsi ininterrotto di metamorfosi, di foglie che cambiano contorni e colore prima di abbandonarsi al suolo; che non cadono insieme in un piano perfetto, ma in una danza scomposta, un turbine. Ognuno al suo tempo e al suo ritmo, un po’ come i tempi dello sbocciare di ogni esistenza.
Non si può mettere fretta all’autunno.
Me lo immagino, anzi me la immagino, come una vecchia dama altezzosa, che a dispetto di ogni solstizio e data su un calendario, decide lei quando arrivare e quando cedere il passo all’inverno.
Dovremmo prendere esempio ogni volta in cui ostinatamente vogliamo seguire tempi che non sono i nostri, quando ci paragoniamo agli altri.
L’autunno ci insegna la meravigliosa lezione del saper lasciare andare.
Del sapersi ascoltare e accettare.
Quante notti insonni eviteremmo con questi semplici atti di gentilezza verso noi stessi.
Con la consapevolezza che la crescita, il successo e la felicità non sono lineari, non devono essere raggiunti a una certa età o a un certo momento, non sono il traguardo di una maratona ma un nuovo fiore aggiunto con cura e amore ad un giardino giorno dopo giorno. Arrivano quando siamo pronti ad accoglierli, quando abbiamo fatto pace con il nostro ritmo.
Può sembrare esagerato il paragone con Soldati, che chiaramente si riferisce ad un momento storico ben preciso, ma Ungaretti parla di una condizione senza tempo di incertezza e fragilità tipica dell’Uomo.
E l’autunno è forse più di tutte la stagione che ci riporta alla nostra più profonda vulnerabilità, al senso profondo dello scorrere del tempo e di quanto ogni istante sia prezioso, di quanto l’esistenza sia la somma di piccoli attimi di fragilità, anche se ai più è cosa difficile da ammettere in una società in cui la parola fragile è troppo spesso sinonimo di perdente.
Stagione dal fascino più intimo, forse meno instagrammabile di un mare cristallino ad agosto, ma proprio per questo ancora più affascinante, come quelle persone che, pur non essendo “perfette” all’esterno, possiedono un’incredibile bellezza interiore che lascia un’impronta indelebile nel cuore di chi gli sta intorno. Spesso la bellezza della resilienza, sempre quella dell’autenticità.
E alla fine, è proprio l’imperfezione dell’autunno che lo rende così perfetto.
Esattamente come per gli esseri umani.
Paola Cavioni, 27 ottobre 2024

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