Happy Birthday Cavern Club!

There is a place
Where I can go
When I feel low
When I feel blue
And it’s my mind
And there’s no time when I’m alone

There’s A Place (Lennon-McCartney), dall’album Please Please Me

Quello che Picasso ha rappresentato per le arti visive, i Beatles lo hanno rappresentato per la musica.

Oggi ricorre il compleanno di un luogo che molto ha a che fare con la storia della band inglese che ha rivoluzionato i canoni della musica del suo tempo e impresso un’impronta indelebile nella musica a livello mondiale.

Esattamente 60 anni fa a Liverpool, al numero 10 di St. Mathew Street, veniva inaugurato il Cavern Club, il mitico locale che all’inizio degli anni ’60 ha visto la nascita del fama dei Beatles, ancora prima dell’arrivo di Ringo Starr. Si potrebbe definire il luogo da cui tutti è partito.

Anche se del locale originale ormai rimane ben poco, il mito rimane immutato.

I’m glad it’s your birthday, Cavern!

beatles-cavern-1961

Quando il mare è ancora troppo lontano

La vera scelta non è dove. La vera scelta è con chi.
La vera scelta non è dove.
La vera scelta è con chi.

Cosimo Calamini, autore classe 1975, è stata una bella scoperta. Sia dal punto di vista letterario che umano (trovare uno scrittore che risponde personalmente ai messaggi sui social network credo sia cosa assai rara di questi tempi).

Il suo ultimo libro, Il mare lontano da noi, non l’ho scelto. Me lo hanno regalato. Ho sempre pensato che regalare un libro sia  una cosa ancora più personale che un vestito, un profumo.

Perché per regalare un libro a chi, come me, considera la lettura quasi come una religione, devi conoscere a fondo una persona.

Una volta ho letto una frase che diceva più o meno cosi: non regalare mai a qualcuno un libro che potrebbe piacergli perché probabilmente lo ha già letto. Niente di più vero, ma fortunatamente non in questo caso.

In questo caso infatti non conoscevo né titolo né autore, ma la storia mi si è cucita addosso, come un abito dalla taglia perfetta. Appiccicata proprio.

Fin da subito mi ha colpito la frase riportata sulla copertina. La vera scelta non è dove. La vera scelta è con chi.

Si, con chi. Perché Il mare lontano da noi è la storia di Serena, giovane donna, ricercatrice, mamma, combattuta fra due amori. Non fra due uomini però. Fra l’amore per la famiglia (marito e figlia con problemi di dislessia) e l’amore per se stessa e il suo futuro. Un futuro che le si apre (o le si potrebbe aprire) in un’altra nazione, a migliaia di chilometri dalla tranquillità della sua provincia romana, dalla sua spiaggia di Anzio. Ricostruirsi e rinascere in un altro Stato, trovare il suo mare in un altro mare.

Nel romanzo mi ha colpito molto la descrizione di questa cittadina della provincia, sui Castelli Romani, Lanuvio. Mi è sembrato talvolta di rileggere alcune delle più belle pagine di Ammaniti.

Il mare lontano da noi è una storia estremamente moderna, nella quale tutti possiamo ritrovarci in questo o in quel personaggio, in Serena, nella madre piena di ansie, nel fratello nichilista e con velleità da scrittore.

Una storia che, pur nella sua leggerezza e scorrevolezza di scrittura, lascia nella testa tante riflessioni, e una lieve sensazione di non-finito, come un finale aperto.

Il mare lontano da noi è soprattutto un libro per una generazione. La mia.

Quella dei trentenni italiani, perennemente in bilico tra il restare, comodo ma frustrante, il partire e il non sapere ancora quale è la strada giusta da seguire, con la continua sensazione di essere in ritardo su una tabella di marcia che impone la società è che prevede una serie di tappe obbligate: studi, lavoro, casa, famiglia, figli, lavoro 9-18.

Perché per partire ci vuole coraggio, ma ce ne vuole altrettanto per restare.

Recensione del romanzo “Il mare lontano da noi” di Cosimo Calamini, Garzanti, 2014

Abbazia di Chiaravalle: viaggio nel tempo a pochi passi da Milano

Questo blog nasce dall’unione di due grandi passioni: la scrittura e l’arte. L’Italia, il nostro Paese, il paese più bello del mondo: questo blog vuole celebrare tutte le sue bellezze. Città, monumenti, opere conosciute e sconosciute, mostre ed esposizioni. Tutto questo visto attraverso gli occhi di una “non addetta ai lavori” ma di chi, semplicemente, ama e celebra l’arte così come è.

Apro il blog con un articolo che ho scritto qualche tempo fa e che si trova pubblicato nel sito MilanoFree:

Visitare l’abbazia cistercense di Chiaravalle in un fresco pomeriggio di fine dicembre è un’esperienza a metà fra il mistico e il viaggio nel tempo. Solo percorrendo, nel silenzio della campagna e con lo sguardo rivolto al grande parco agricolo che fronteggia l’abbazia, il breve tragitto che dal parcheggio porta all’ingresso del complesso, sembra quasi impossibile pensare che solo pochi chilometri più in là ci sia la città simbolo dell’economia italiana, Milano, con il suo traffico, i suoi grattacieli e i suoi rumori.

Milano è costellata di tante realtà monumentali, più o meno grandi, nelle quali si respira la Grande Storia, quella vera, quella dei libri. Chiaravalle (Clairvaux, per dirla poeticamente alla francese) però ha un’aura tutta particolare, quasi magica. Non mi stupirei per niente se vedessi comparire, fra il fumo delle candele nella navata centrale della chiesa, il cavaliere del XIII secolo Etienne Navarre, del film Ladyhawke, oppure il frate Guglielmo da Baskerville de “Il nome della rosa”. Perché in quest’abbazia, nonostante siano visibili anche a un occhio poco esperto i vari interventi e le ristrutturazioni che si sono susseguite nei secoli (la prima fondazione viene fatta risalire al 1135 circa mentre gli ultimi interventi rilevanti sono del 1600), il tempo si è fermato al medioevo, quando anche nell’Italia settentrionale esplodeva quel grande movimento di riforma della spiritualità cristiana che prende il nome di monachesimo.
Percorrendo il viale di ghiaia che dall’ingresso del complesso conduce alla chiesa abbaziale non si può non notare il contrasto, in facciata, tra il porticato inferiore secentesco e poco più indietro la struttura in laterizio con bifora e oculo di epoca sicuramente precedente. Ed è proprio il rosso mattone il colore predominante in tutta la struttura, splendido esempio di architettura gotica italiana.
Al suo interno l’edificio presenta la consueta pianta a croce latina, con volte a crociera costolonate che poggiano su pilastroni cilindrici in laterizio privi di capitello. Questi pilastri, come maestosi alberi secolari, sorreggono la chiesa da così tanti secoli e fanno riflettere sulle grandi capacità ingegneristiche dell’uomo del medioevo, periodo storico tutt’altro che “buio” dal punto di vista artistico.
Come di un film non si rivela mai la fine, non mi voglio soffermare sulla bellezza degli affreschi che la chiesa ancora conserva, seppur in parte danneggiati dal tempo, per non svelare nulla di più al visitatore che vorrà addentrarsi in questa meraviglia dell’architettura.
Vi posso solo consigliare la “colonna sonora” di questa visita: il silenzio della campagna milanese, una buona compagnia e il rumore delle foglie secche che si sbriciolano sotto le scarpe in una giornata d’inverno.