Ricordi d’autunno

E poi in questi giorni è arrivato il freddo, quello vero.

Quello che nasconde il sole presto ancor prima della sera,

che porta la nebbia in pianura e fa scavare le buche alle rane in campagna.

Il freddo che ha l’odore dei camini accesi e dell’umido metallico della terra.  

Distese di foglie cadute che disegnano tramonti infuocati.

È l’autunno che finalmente sboccia con i suoi colori.

Esattamente come fa, ma più altezzosa, la primavera ad aprile.

È l’autunno che per me ha il color seppia delle fotografie e dei ricordi di bambina.  

Ricordi di mani calde, grandi, molto più grandi,

che avvolgono le mie nelle tasche dei primi cappotti.

Una danza infinita di candele in fila, l’odore penetrante dei fiori il giorno dei morti.

Il rumore dei passi lenti della nonna

e il picchiettare asciutto dei grani del rosario fra le sue dita.

Paola Cavioni

Landriano, novembre 2021

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Un pò più avanti

A mio padre

Un po’ più avanti.

È così che ti immagino, solamente un po’ più avanti a me, papà.

Posso vedere la tua schiena, ma non il tuo viso.

Posso sentire la tua voce, ma non posso abbracciarti.

Posso sognarti, ma non posso averti qui quando mi sveglio.

Ma ti immagino così, che cammini ancora davanti a me e in qualche modo mi indichi la strada.  

La strada che avremmo dovuto ancora percorrere insieme.

Io ti penso ogni giorno e ho il cuore pieno di ricordi.

Tu però aspettami a braccia aperte.

Sei solo un po’ più avanti.

Tua figlia

Paola

Ciao e benvenuto/a!

Io sono Paola, dal 2015 Righediarte è il mio blog, il luogo nel quale condivido la passione che mi anima da che ho memoria: la scrittura. Ricordo ancora l’emozione del primo tema letto di fronte a tutta la classe quando ero bambina. Quella emozione è stessa che metto dentro a ogni mio post, a ogni racconto, ogni poesia che qui condivido con chiunque abbia voglia di leggere e magari lasciare un commento.

L’altra mia più grande passione? Che domanda, i libri! Su Righediarte trovi tante recensioni di libri, senza un ordine preciso perché amo spaziare in ogni ambito della narrativa.

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Il profumo dei miei figli

Il profumo dei miei figli è un biscotto alla cannella,

è il sale che brilla sulle loro mani affondate nella sabbia.

Il profumo dei miei figli è la coperta che protegge il mio sonno,

è la loro voce spettinata che mi chiama nel mezzo della notte.

Il profumo dei miei figli è in ogni loro abbraccio,

in ogni segreto sussurrato fra la linea del collo e il mio orecchio.

Il profumo dei miei figli è la brezza fredda delle mattine di montagna, è acqua di lago,

è la primavera nel vento.

Il profumo dei miei figli, a ben sentire, è il suono delle loro risate;

è profumo della vita.

Paola Cavioni

Agosto 2020

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Classificazione: 1 su 5.

Donne

donna

Che belle le donne che sanno accompagnare gli anni che passano.

Che non nascondono un capello bianco o quella ruga che allunga l’orizzonte del loro sguardo.

Che dona espressione al loro sorriso.

Che belle le donne sorelle delle donne.

Che sanno essere complici.

Donne solo apparentemente semplici.

Che belle le donne che in un mondo sterile sanno essere madri.

Madri di progetti, di idee. Di figli.

Che belle le donne che non nascondono la loro fragilità ma che sanno quanto valgono.

E come sono belle le donne quando amano.

Ma anche quando si accorgono di non amare più.

Che belle le donne che sanno essere libere ma mettere radici.

Che belle le donne che si perdono nella musica che hanno dentro.

Paola Cavioni

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Tempo di quarantena, aprile 2020

“Dicono che c’è un tempo per seminare
E uno che hai voglia ad aspettare
Un tempo sognato che viene di notte
E un altro di giorno teso
Come un lino a sventolare”

C’è tempo, Ivano Fossati

tempo

È un tempo di pace questo, ma il suono dei cannoni è quello delle sirene sulle strade.

Non si piangono soldati ma padri, madri, fratelli e sorelle, amici persi. Persi per sempre.

Ma è solo un tempo diverso, chiusi nelle nostre case che ci sembravano più grandi.

È il tempo del pane che lievita e della notte che non passa mai.

È il tempo del sole che sorge presto, delle giornate che si fanno più lunghe e ci fanno scoprire quanto fosse inutile il nostro affannarci di prima. Per cosa?

È il tempo infinito e sospeso del lutto e del pianto, della solitudine.

Del cambiamento, se avremo fortuna.

Ma è anche il tempo ritrovato degli abbracci e dei baci alla mattina. Ha il profumo dei nostri figli e il suono delle loro voci. È il tempo semplice di una colazione insieme.

È il tempo regalato al pensiero senza il rumore delle macchine sulla strada.

È un tempo che sembra vuoto ma che sta mostrando quanto vuote fossero tante vite così impegnate.

Le vite del non ho tempo.

E ora che abbiamo tutto il tempo del mondo, a malapena sappiamo cosa farne.

È il tempo delle preghiere di chi non crede in Dio.

Paola Cavioni

2 aprile 2020

Senilità

Alle mie nonne Vittoria e Angela, al loro esempio e a tutto l’amore che mi hanno dato in tempi e modi differenti.

ANZIANA

Figlia, non guardare le rughe sul mio volto,

sono stati i sorrisi con cui ho salutato l’inizio delle tue giornate.

Non avere timore di toccare l’incavo fra i solchi violacei delle mie mani ricurve,

sono le stesse mani bianche che ti hanno carezzato quando piangevi.

Non guardare l’arco della mia schiena piegata dal tempo;

nel tempo che ti vedeva crescere ha portato il tuo peso con orgoglio.

Non giudicare la lentezza dei miei movimenti:

è la stessa andatura dell’incedere incerto dei tuoi primi passi.

Io sono stata ciò che tu sei e ciò che tu fosti.

Non evitare il vuoto dei miei occhi ciechi e stanchi:

hanno già visto tutto l’universo

nel tuo sguardo di neonata.

Non urlare contro di me se fatico a comprendere le tue parole,

la mia mente e i miei ricordi sono pieni del suono della tua voce.

Musiche che arrivano da un tempo lontano.

Non guardare il mio corpo così fragile ma ormai così pesante

che porta il peso degli anni come una zavorra, che fatica a camminare.

Guarda la leggerezza della mia anima, che non è mai invecchiata.

Non mi manca nulla.

Paola Cavioni

“Che di nuovo sei in balìa di una rima che allacci …” – Righe per la giornata mondiale della poesia

 

giornata mondiale poesia 2018Amo da sempre la poesia.

A scuola ero quella che meglio riusciva ad imparare a memoria L’infinito, La cavalla storna, Alla sera. Versi che ancora ricordo perfettamente.

Amo la poesia.

Perché la poesia è dimora dei contrasti. E’ discreta e dirompente. Ti avvolge nel silenzio del suo rumore assordante. E’ un abbraccio lieve o un pensiero fisso che non ti abbandona.

La poesia è ovunque e sono privilegiati – o condannati? – coloro che riescono a ordinare in versi il disordine della vita.

Amerò sempre la poesia, e oggi lascio parlare i poeti che più amo.

Fra di loro, mi si perdoni per l’eresia, c’è anche un moderno cantautore.

Paola

 

Viviamo, mia Lesbia

Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.

Dammi mille baci e poi cento,
e poi altri mille e altri cento,
e poi ancora una volta mille, e poi cento.
E quando saremo arrivati
a molte migliaia,
li mescoleremo tutti per non sapere il conto
o perché qualcuno maligno
non provi invidia per noi
sapendo il numero esatto dei baci.

Catullo, I secolo a.C.

 

Inferno, Canto V

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!».                            81

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere dal voler portate;                                84

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettuoso grido.                                              87

«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,                  90

se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’hai pietà del nostro mal perverso.                        93

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.                             96

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.                                        99

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.                 102

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.                  105

Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.                                108

 

Dante Alighieri, La Divina Commedia, 1306-1321

 

X Agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh!, d’un pianto di stelle lo innondi
quest’atomo opaco del Male!

Giovanni Pascoli, 1896

 

Francis Turner

I could not run or play in boyhood.
In manhood I could only sip the cup,
Not drink-
For scarlet-fever left my heart diseased.
Yet I lie here
Soothed by a secret none but Mary knows:
There is a garden of acacia,
Catalpa trees, and arbors sweet with vines–
There on that afternoon in June
By Mary’s side–
Kissing her with my soul upon my lips
It suddenly took flight.

Io non potevo correre né giocare
quand’ero ragazzo.
Quando fui uomo, potei solo sorseggiare alla coppa,
non bere –
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
blandito da un segreto che solo Mary conosce:
c’è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole addolcite da viti –
là, in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary –
mentre la baciavo con l’anima sulle labbra,
l’anima d’improvviso mi fuggì.

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, 1915

 

Sono nata il ventuno a primavera

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

Alda Merini, 1991

 

La moglie del poeta

Ti ritrovo in bilico d’apnea
le mani strofinacci
che di nuovo sei in balia
di una rima che allacci.

Di parole si può vivere
mi hai detto stamattina
mentre un sole stretto
apriva nuvole.
Come sono quando pensi a me?
Un nome, un suono di due sillabe?
O il centro di un qualcosa
che non si crea?
L’istinto a cui si è arresa
ogni tua idea?
Potessi amore esser nemmeno una donna
ma il punto esatto del foglio
dove ti scivola nero il tratto di penna.

Sbuco da un riflusso di pazzia
e muto adesso, tu di ghiaccio,
sembri già in balia
di un altro abbraccio.

Cos’è un uomo senza più realtà
Un nome, il suono di una pagina
Sei il centro di un qualcosa che non si crea
L’istinto a cui si è arresa
ogni mia idea.
Ma se potessi amore
soffiarti via quel pensiero
che a tratti
mi pare ti toglie il respiro…
e la moglie dagli occhi.

Max Gazzè, dall’album Quindi? (2010)

 

 

Ti auguro …

8 marzo 2018

A mia figlia Gaia in occasione della festa della donna.

Auguri a te piccola grande Donna.
In questo giorno più che mai ti auguro di essere orgogliosa ogni giorno della donna che sei e che diventerai.
Ti auguro di sbagliare tanto nella vita, più che puoi e senza rimpianti. Ti auguro di imparare tanto dai tuoi errori, e di farne fino a quando avrai i capelli bianchi, perché vorrà dire che starai ancora imparando. 
Ti auguro di mandarmi a quel paese quando per paura o per il troppo amore cercherò di tarparti le ali e di tenerti troppo vicina, per impedirti di cadere. Ti auguro di sbucciarti mille volte le ginocchia e di rialzarti mille e una volta.
Ti auguro di viaggiare in lungo e in largo per questo bel mondo. Io sarò sempre e comunque le braccia che ti aspetteranno a casa, oppure le scarpe che viaggeranno con te fino a quando ne avrò la forza.
Ti auguro di dirmi un giorno “mamma mi sono innamorata”, oppure “mamma diventerai nonna”. Ma ti auguro anche di essere felice in qualsiasi scelta che farai, anche se fosse quella di trasferiti da sola in Nuova Zelanda per studiare la cultura dei maori, dalla parte opposta del mondo rispetto a me.
Ti auguro di fare la cuoca, la scienziata, la maestra, la pasticcera, l’avvocato, la gelataia o la poliziotta. Ti auguro di trovare un lavoro che ti farà sentire che stai spendendo bene il tempo della tua vita.
Ti auguro di fare del volontariato, perché solo confrontandoti con la sofferenza degli altri saprai dare il giusto peso ad ogni avvenimento della tua esistenza.
Ti auguro di essere sempre sensibile come lo sei ora, ma ti auguro anche di essere la versione più stronza di te quando sarà il momento giusto, quando dovrai farti valere e tirare fuori le unghie e i denti.
Ti auguro di non dover mai dimostrare di “essere una donna con le palle”, perché non ho mai sopportato l’idea che in questa vita per essere forti si debba per forza essere paragonate agli uomini.
Amore, sei una donna. Sei nata per essere forte.

Auguri cuore mio.

Mamma Paola

festadelladonna2018foto

Pablo Neruda (12 luglio 1908 – 23 settembre 1973)

“Penso che la poesia sia un’azione passeggera o solenne in cui entrano in pari misura la solitudine e la solidarietà, il sentimento e l’azione, l’intimità dell’individuo, l’intimità dell’uomo e la segreta rivelazione della natura”.

SONETO XVII

No te amo como si fueras rosa de sal, topacio
o flecha de claveles que propagan el fuego:
te amo como se aman ciertas cosas oscuras,
secretamente, entre la sombra y el alma.

Te amo como la planta que no florece y lleva
dentro de sí, escondida, la luz de aquellas flores,
y gracias a tu amor vive oscuro en mi cuerpo
el apretado aroma que ascendió de la tierra.

Te amo sin saber cómo, ni cuándo, ni de dónde,
te amo directamente sin problemas ni orgullo:
así te amo porque no sé amar de otra manera,

sino así de este modo en que no soy ni eres,
tan cerca que tu mano sobre mi pecho es mía,
tan cerca que se cierran tus ojos con mi sueño.

 

Sonetto XVII

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

Dalla raccolta Cento Sonetti d’amore di Pablo Neruda (1959)

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