11 gennaio 1999

“Dio di misericordia
Il tuo bel Paradiso
L’hai fatto soprattutto
Per chi non ha sorriso
Per quelli che han vissuto
Con la coscienza pura
L’inferno esiste solo
Per chi ne ha paura

Meglio di lui nessuno
Mai ti potrà indicare
Gli errori di noi tutti
Che puoi e vuoi salvare

Ascolta la sua voce
Che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
Vedrai, sarai contento”

(Preghiera in gennaio, Fabrizio De André)

Uno dei primi e più bei ricordi di quando ero bambina è quello di mio padre che prende con cura un 33 giri, lo toglie dalla sua custodia e lo mette sul giradischi lucido. Avrò avuto 4 o 5 anni, e fra tutti i vinili che ogni giorno mi faceva ascoltare mi innamorai di due canzoni in particolare, di artisti che mi avrebbero accompagnato per tutta la mia vita da quel momento in poi.

Le due canzoni erano Let in Be e Geordie.

Beatles e Fabrizio De André.

Sicuramente fra di loro agli antipodi, sia le canzoni che gli artisti, ma nel mio cuore legati insieme per sempre, ora più che mai in modo indissolubile insieme a tutti i ricordi che ho di mio papà.

Non è possibile riassumere brevemente cosa rappresentino per me le canzoni e la voce di Fabrizio De André, oggi che lo ricordiamo a ventidue (ventidue!) anni dalla sua morte, e ancora non sembra vero.

Non si può riassumere perché sarebbe come avere la presunzione di rinchiudere una vita intera in poche righe.

Ma se devo provarci, se devo elaborare una riflessione che sia “a misura di post” posso solo dire che De André per me è poesia in musica, è la voce della rabbia e dell’amore, l’urlo di chi non si accontenta di vivere una vita mediocre, che non si accontenta di esistere, è la voce di mio papà che mi dice “chiudi gli occhi e ascolta che bello questo controcanto”.

Ma è molto di più. Con De André ho scoperto la grandezza delle storie degli ultimi, ho scoperto quanta fede ci possa essere nelle parole di un ateo, ho capito quali siano i sentimenti che accomunano tutte le esistenze: la ricerca disperata dell’amore vero, quello che ti torce l’anima e la ribalta fino a mostrarne la vera natura, la paura della morte, la frustrazione di chi lotta per un mondo migliore.

Sono stata insieme a lui e Dori rinchiusa “all’Hotel Supramonte“, ho sofferto la fame e il freddo con loro.

Ho pianto per il suicidio di Tenco di Preghiera in gennaio e ho versato lacrime di emozione ascoltando Tre madri, appena diventata madre io stessa.

Conosco a memoria ogni nota di La buona novella e Non al denaro non all’amore né al cielo, e devo ringraziare De André se ho scoperto e apprezzato Edgar Lee Masters e Georges Brassens.

Sarebbe scontato dire che oggi ricordiamo il giorno della morte di una voce che invece è immortale, eppure è proprio così. Perché l’eredità che ha lasciato al mondo è troppo grande per poter essere dimenticata dal semplice scorrere del tempo.

Paola Cavioni

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“Cominciai a sognare anch’io insieme a loro, poi l’anima d’improvviso prese il volo …”

Il destino non gli ha concesso il lusso – o la sfortuna? – di invecchiare.

Il tempo non è riuscito a cancellare la sua memoria.

La sua poesia lo ha reso immortale.

“Mille anni al mondo mille ancora
che bell’inganno sei anima mia”

Buon compleanno Faber, ovunque tu sia.

 

Fabrizio De Andrè  (18 febbraio 1940 – 11 gennaio 1999)

de-andre

 

Ciao amore ciao (27 gennaio 1967)

Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero

quando a te la sua anima

e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.

Quando attraverserà
l’ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch’io
perché non c’è l’inferno
nel mondo del buon Dio.

Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.

Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza
preferirono la morte.

Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l’inferno esiste solo
per chi ne ha paura.

Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.

Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.

Queste le parole che Fabrizio De André dedica all’amico Luigi Tenco nella canzone Preghiera in gennaio, scritta appena dopo il suo funerale.

La storia è nota, Tenco si suicida dopo una serata del Festival di Sanremo, fra il 26 e il 27 gennaio 1967, lasciando costernati ed increduli gli altri musicisti presenti alla kermesse musicale e sopratutto l’amica (amante?) Dalida, fra le prime ad accorrere nella stanza  dove si trovava il corpo del cantautore. Inutile ricordare che la canzone portata al Festival da Tenco era la ben nota Ciao Amore Ciao.

Gesto estremo di un depresso oppure gesto di estrema coerenza rispetto al valore dato al proprio lavoro  e alla propria dignità di musicista? Penso che nessuno potrà mai dare risposta a questa domanda.

Mi piace ricordare la storia di questo artista malinconico e sfortunato con la canzone di De André. Un testo di non facile comprensione ma ricco di immagini poetiche e di misericordia, che si potrebbe definire cristiana se De André non fosse stato dichiaratamente ateo.

In un momento storico nel quale la Chiesa Cattolica ancora condannava fortemente il suicidio come atto contro Dio, Faber si scaglia contro i veri carnefici (“signori benpensanti”) e descrive l’arrivo di Tenco in Paradiso. Dio lo accoglie fra le sue braccia, insieme agli altri morti suicidi, e lo bacia come farebbe un padre. Il terzo girone dantesco non potrebbe essere più lontano da questa immagine di misericordia, di amore e di speranza di redenzione.

Meravigliosa è la chiusura, un  quadro espresso in musica. E me lo immagino davvero Tenco, che avrà 29 anni per sempre, che ancora canta nel vento Ragazzo mio o Un giorno dopo l’altro.

 

“Guardare ogni giorno se piove o c’e’ il sole, per saper se domani si vive o si muore e un bel giorno dire basta e andare via … Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao”

 

 

Cose che (non) dimentico

“Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento, Dio di misericordia vedrai sarai contento”

 

21.48 dell’11 gennaio 2016.

Finalmente mi fermo in questa giornata triste per il mondo della musica. Oggi però nonostante la notizia della scomparsa di David Bowie, il mio pensiero va a Fabrizio de André, il mio cantautore preferito. La voce con cui sono cresciuta, pensando a Geordie come alla mia prima ninna nanna. E Fabrizio.

Fabrizio con la sua chitarra classica.

Fabrizio con la sigaretta.

Fabrizio con le sue poesie.

Fabrizio con Dori.

Sono passati con oggi 17 anni da quando Faber ha lasciato questo mondo, quando aveva solo 58 anni. Siamo quasi diventati maggiorenni senza di lui, in tutto questo tempo.

Eppure, sembra scontato, ma anche se ci ha lasciati orfani, le sue canzoni non invecchiano mai perché sono nate per essere senza età, senza una collocazione temporale precisa. Non credo che sia necessario ripercorrere la sua biografia,  le librerie e il web sono piene di qualsiasi tipo di informazione sulla sua vita e la sua musica.

Ma quello che lui ha lasciato in ognuno di noi non si può descrivere. Lui che ci ha emozionato, che ci ha insegnato a navigare in direzione ostinata e contraria. Che con le sue canzoni ci ha fatto innamorare, arrabbiare, riflettere e piangere.

Lui che comunque ci ha fatto il dono più bello per quanto, a mio avviso, poco compreso: suo figlio Cristiano, che incarna tutta la sensibilità che aveva anche il padre. Un’anima fragile dentro una corazza ruvida da vita sregolata.

E oggi voglio pensare anche a Cristiano che strimpella con la sua chitarra, pensando a suo padre. Perché per tutti noi era Faber, ma per lui era solo papà.

Per quanto tempo ti penserò

 in quelle notti a Genova

giù lungo il porto, dentro quei bar

sogni cambiati in spiccioli

quale destino mai ci fermerà

quale assassino senza nome

ci sentivamo invincibili

ci sentivamo così

Storie migliori non sentirò di quelle notti a Genova

bevevi troppo, fumavi un po’

perso nella tua musica

quale silenzio ci confonderà

quale invisibile padrone

ci sentivamo invincibili

ci sentivamo così

Chi ci ha tenuto lontani

chi ci ha cambiato non so

come le macchine che vanno via

ombre e stagioni così

chi ci ha piegato le mani

chi ci ha tradito non so

ora che queste nuvole spazzano via

i miei ricordi così

Quale destino mai ci fermerà

quale assassino senza nome

ci sentivamo invincibili

ci sentivamo così

fabrizio de andre