Kent Haruf e le storie dalla terra

“We got one last chance to make it real
To trade in these wings on some wheels
Climb in back
Heaven’s waiting on down the tracks
Oh oh come take my hand
Riding out tonight to case the promised land”

(Abbiamo un’ultima possibilità per farli avverare [i sogni], per scambiare con delle buone ruote le nostre ali. Salta su, il Paradiso ci aspetta lungo il percorso. Dai, prendi la mia mano, stanotte cercheremo di raggiungere la terra promessa)

Thunder Road, Bruce Springsteen

Se c’è un autore che ho scoperto e che ha caratterizzato tutto il mio 2021 con un amore a prima lettura è sicuramente è Kent Haruf. A lui dedico questo lungo post, alla fine del quale trovate gli incipit dei suoi romanzi, che vi invito a leggere perché sono sicura che non rimarrete delusi.

Tutti i libri di Kent Haruf sono pubblicati in Italia da NN Editore

Alan Kent Haruf nasce nel 1943 a Pueblo, città nel sud del Colorado, sul fiume Arkansas.

La vita qui non deve essere facile. Non è il sogno americano quello che si vive fuori dalle grandi metropoli. È una vita fatta di fatica, violenza, solitudine, soprusi, conflitti, infanzia violata nel corpo e nello spirito. Un mondo intero di luci e ombre che entra nei libri di Haruf, rinascendo sotto le mentite spoglie di Holt. Città che sulla carta del Colorado non troverete mai ma che esiste, vera e prepotente, nella testa del suo inventore, talmente chiara che se ne riesce perfino a disegnare la geografia.

La trovate, è alla fine di Le nostre anime di notte (Our Souls At Night), provate a cercarla.

Kent è figlio di un pastore e di una insegnante, si laurea alla Nebraska Wesleyan University e si forma leggendo William Faulkner e Ernest Hemingway.

Come molti altri autori, anche suoi contemporanei, prima di riuscire a mantenersi con la sola attività di scrittore svolge molti altri lavori: insegnante, bracciante, bibliotecario.

Ma la sua strada è la scrittura e lotta a lungo per realizzare questa vocazione.

Pubblica i primi racconti all’inizio degli anni ’80; il primo romanzo, Vincoli (The Tie That Binds) è del 1984.

Per uno strano scherzo del destino, la sua consacrazione e il riconoscimento da parte della critica arrivano solo nel 1999 con Canto della pianura (Plainsong). Haruf ha 56 anni.

Muore nel 2014 a Salida, cittadina poco distante da Pueblo, tornato a vivere in Colorado dopo una vita trascorsa in giro per gli Stati Uniti e dieci anni in Illinois. Coincidenza, sceglie di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nel posto a cui apparteneva, proprio come il titolo (in originale) di La strada di casa: Where You Once Belonged.

Ci ha lasciato in eredità sei meravigliosi romanzi, tutti scritti dopo i quarant’anni, tutte opere mature, profonde, strazianti e bellissime allo stesso tempo.

La scrittura di Haruf è piana, semplice e terribilmente aderente alla realtà, cadenzata da dialoghi in discorso diretto libero, senza marcatori di punteggiatura, tecnica difficilissima da padroneggiare e usata tra l’altro da pochi altri grandi autori come Josè Saramago, in forma ancora più estrema, e Cormac McCarthy.  

Nel suo primo romanzo, Vincoli, sono già presenti tanti dei temi che, quasi come un’ossessione, ritornano nelle opere di Haruf: la voce narrante in terza persona, l’attaccamento alla terra e alla fatica del lavoro nei campi, la presentazione dell’infanzia come momento della vita che non è esente dal dolore e dalla morte, la sofferenza nell’esistenza, amanti che il destino avverso separa, la violenza della società che si incarna, in ogni libro, in un personaggio.

Ma anche temi positivi come la ricerca del riscatto sociale, l’amore come possibile redenzione, che rende la vita degna di essere vissuta, a prescindere dall’età, l’onore, la compassione. C’è poi la Storia, che fa da cornice agli eventi ma resta sempre sullo sfondo, perché tutte le storie di Kent Haruf sono senza tempo.

E poi ancora l’intreccio tutto particolare che riesce a creare nei suoi romanzi, che non hanno praticamente mai un solo protagonista, ma tante piccole storie, ognuna con un proprio sviluppo e un proprio arco di trasformazione, che a volte si intreccia alle altre storie, o a una sola di esse, solo alla fine del romanzo. In ogni libro inoltre ci sono piccoli rimandi agli altri, come se Haruf si fosse divertito a giocare con lettore che deve riuscire a riconoscere il dettaglio, il particolare che rimanda a un altro dei romanzi di Haruf, sempre dentro al micro cosmo di Holt.

E il legame con la terra, la sua terra, il Colorado che è tutto lì fra le case, le vie, i campi e i sassi di Holt.

Buona lettura.

Vincoli. Le origini di Holt (The Tie That Binds)

Prima edizione 1984

“Edith Goodnough non vive più in campagna. Ormai sta in città, in ospedale, in quel letto bianco, con un ago infilato nel dorso della mano e un uomo che la sorveglia in corridoio, fuori dalla sua stanza. Questa settimana compie ottant’anni: una donna linda, bella, con i capelli bianchi, che in vita sua non è mai arrivata a pesare cinquanta chili e che da Capodanno ne pesa ancora meno di così.”

Libro che si apre come un giallo, con un omicidio, ma si rivela un’epopea storica che ci porta in un viaggio dalla fine del XIX alla metà degli anni ’70, in un’America in continua evoluzione, che però nel mondo chiuso di Holt sembra rimanere sempre uguale e se stessa.

Un cerchio che inizia e si chiude nel 1977.

La strada di casa (Where You Once Belonged)

Prima edizione 1990

“Alla fine Jack Burdette tornò a Holt. Nessuno di noi se l’aspettava più. Erano otto anni che se n’era andato e per tutto quel tempo nessuno aveva saputo niente di lui. Persino la polizia aveva smesso di cercarlo. Avevano ricostruito i suoi movimenti fino alla California, ma dopo il suo arrivo a Los Angeles se l’erano perso e a un certo punto avevano rinunciato.”

Il libro che più ho amato, il primo che ho letto e il più poetico fra i libri di Haruf*.

Trilogia della pianura

Benedizione (Benediction) – I libro

Prima edizione 2013

“Appena gli esiti dell’esame furono pronti, l’infermiere li chiamò nell’ambulatorio, e quando il medico entrò nella stanza diede un’occhiata e li invitò a sedersi. Capirono come stavano le cose guardandolo in faccia.”

Il più intimo fra i libri della trilogia, per il tema che tratta: il rapporto con noi stessi davanti alla vita che finisce. Cosa succede dei nostri rimpianti, dei fallimenti e delle occasioni perse per sempre?

Canto della pianura (Plainsong) – II libro

Prima edizione 1999

“A Holt c’ere quest’uomo, Tom Guthrie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno. Quando il sole ebbe raggiunto la sommità del mulino a vento, l’uomo rimase a guardare la luce che si faceva sempre più rossa sulle alette di acciaio e sulla coda, alte sulla piattaforma in legno.”

Lente di ingrandimento puntata in questo caso sull’inizio della vita, sul suo sbocciare a dispetto delle avversità del mondo.

Crepuscolo (Eventide) – III libro

Prima edizione 2004

“Tornarono dalla scuderia nella luce obliqua del primo mattino. I fratelli McPheron, Harold e Raymond. Vecchi che si avvicinavano a una vecchia casa alla fine dell’estate. Attraversarono il vialetto sterrato, superarono il furgone e l’automobile parcheggiata accanto alla recinzione in rete metallica e varcarono il cancello l’uno dopo l’altro.”

In Crepuscolo ritroviamo alcuni dei protagonisti di Canto della Pianura, nel più malinconico dei libri della trilogia. Preparate i fazzoletti.

Le nostre anime di notte (Our Souls at Night)

Prima edizione 2015

“E poi ci fu il giorno in cui Addie Moore fece una telefonata a Louis Water. Era una sera di maggio, appena prima che facesse buio.

Vivevano a un isolato di distanza da Cedar Street, nella parte più vecchia della città, olmi e bagolari e solo un acero cresciuti sul ciglio della strada e prati verdi che si stendevano sul marciapiede fino alle case a due piani.”

Opera con cui Haruf si congeda dalla letteratura, e in fondo dalla vita. Una storia romantica e anticonvenzionale, su un argomento che spesso è ancora considerato un tabù: l’amore fra due persone anziane. Nel 2017 ne è stato tratto un bellissimo film omonimo, con Robert Redford e Jane Fonda.

Tutti i libri di Kent Haruf sono tradotti in italiano da Fabio Cremonesi, puoi acquistarli anche su Amazon cliccando sul titolo del libro in neretto e sottolineato.

Visita il sito web della casa editrice su www.nneditore.it

Paola Cavioni

14 dicembre 2021

*Puoi leggere la recensione del libro, già pubblicata su Righe di Arte, a questo link:

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Quando guardi oltre, tutto è possibile. Righe su “Il vento contro” di Daniele Cassioli

“La missione di ogni uomo consiste nell’essere una forza della natura e non un grumo agitato di guai e di rancori che recrimina perché l’universo non si dedica a renderlo felice.”

(George Bernard Shaw)

Il vento contro (DeAgostini 2018)

La citazione con cui apro questo post invita con decisione a essere forza della natura, a non lamentarsi, a essere artefici della propria felicità. Leggendo fra le righe, è un’esortazione a prendere di petto la vita, a sfruttare potenzialità e talenti, a dare un senso all’agire nel mondo e più in generale alla vita.

Concetti di facile comprensione, ma non sempre facili da mettere in pratica, soprattutto nella società in cui siamo immersi dove così spesso la lamentela diventa uno stile di vita.

Non vi è mai capitato di avere a che fare con persone che apparentemente non sono mai soddisfatte, che cercano la causa della loro insoddisfazione nelle persone e nelle cose che hanno intorno, ma che non fanno nulla per cambiare?

Oggi vi parlo di un libro che incarna perfettamente la massima di Shaw: Il vento contro, che ho letto nei giorni scorsi dopo avere assistito a una formazione aziendale tenuta proprio dal suo autore Daniele Cassioli.

Daniele nasce a Roma 35 anni fa, si laurea in Fisioterapia a pieni voti, ha un diploma di pianoforte al conservatorio, come sportivo detiene un numero altissimo di record nello sci nautico, si occupa di formazione su temi legati alla motivazione, svolge diverse attività nel sociale e attualmente sta scrivendo il suo secondo libro… è perché no, è anche influencer, nel senso più positivo del termine.

Già fino a qua, è tanta roba per una vita sola, per un solo uomo.

Mettiamoci anche, piccolo dettaglio del tutto trascurabile, che Daniele è non vedente dalla nascita, non so se avrei dovuto dirvelo prima.

Serve altro per capire quanto straordinaria possa essere l’esistenza?

In Il vento contro Cassioli parla della sua vita, della sua famiglia, di come i suoi genitori siano stati in grado, dopo una prima comprensibile fase di smarrimento e di ossessiva ricerca di una cura alla retinite pigmentosa con cui Daniele è nato, di fare accettare al loro figlio la sua diversità, che diventa poi unicità, per vivere come tutti i suoi coetanei.

Una fotografia di Daniele, dal sito web http://www.danielecassioli.it

Vivere come gli altri vuol dire impegnarsi nella scuola, tra le non poche difficoltà logistiche della mancanza di libri i braille e programmi scolastici che spesso non sono a misura di non vedente (per usare un eufemismo) uscire con gli amici, essere sgridato come tutti i bambini, e poi crescendo avere delle fidanzate, fare sport.

E qui arriva la vera svolta per Daniele, che nello sport trova un nuovo scopo, la motivazione e lo stimolo per superare ogni giorno i suoi limiti, fino a ottenere risultati assolutamente straordinari.

Certo si può obiettare che lui comunque è fortunato perché nato in una famiglia che ha avuto la possibilità di fargli fare esperienze, di farlo studiare, di portarlo in giro per il mondo, di gestire in modo positivo la sua diversità. Certo.

Ma con quanta facilità Daniele avrebbe potuto “accontentarsi” della sua vita, trovare nel suo essere cieco una giustificazione alla paura, all’inerzia?

Parlo per me, ma in moltissime occasioni mi lascio vincere dalla pigrizia per molto, molto meno. Basta un raffreddore per farmi rimanere un pomeriggio intero sul divano, una pioggerellina per non uscire a correre, una notte insonne per giustificare l’umore storto.

Quanti come me? Siate onesti.

Il titolo Il vento contro è metafora potentissima presa dallo sci nautico che fa capire come gli ostacoli nella vita possano essere considerati muri contro cui scontrarsi e che bloccano il cammino, oppure trampolini da cui prendere la spinta per saltare per arrivare più in alto possibile e per provare a toccare il cielo.  

Daniele si apre al lettore con una scrittura semplice e diretta, senza fronzoli, la comunicazione tipica di chi è abituato a stare in mezzo alla gente, a raccontarsi ad adulti con esperienze e un vissuto diverso dal suo,  ma anche a farsi comprendere dai bambini.

Perché Daniele che ha anche fondato un’associazione che si occupa della promozione dello sport e di attività sociali legate al mondo e non.

Il vento contro è un libro che si legge per la forza del messaggio che contiene: quando guardi oltre, tutto è possibile.

Che non deve essere confuso con facile da realizzare, scontato o regalato, ma possibile.

E che soprattutto, che alla fine, ne vale sempre la pena.

Per maggiori informazioni su Daniele Cassioli e l’attività della sua associazione puoi visitare i siti web:

www.danielecassioli.it

www.sportrealeyes.it

Puoi acquistare il libro anche su Amazon, per accedere allo shop clicca QUI.

Paola Cavioni

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Righe su “Brevemente risplendiamo sulla terra” di Ocean Vuong

Brevemente risplendiamo sulla terra, di Ocean Vuong (traduzione di Claudia Durastanti, La Nave di Teseo Editore, Milano)

“Ciao Ma’, ti scrivo per avvicinarmi a te, anche se ogni parola che butto giù è una parola in più che ci allontana. Scrivo per tornare indietro nel tempo, a quella piazzola di sosta in Virginia, dove in preda all’orrore ti sei messa a fissare quel cervo imbalsamato appeso […] accanto ai bagni, le sue corna che ti ombreggiavano il viso.”

“Dicono che ogni fiocco di neve sia diverso dall’altro, ma la tormenta ci ricopre tutti allo stesso modo. Un amico in Norvegia mi ha raccontato la storia di un pittore che è uscito durante una tempesta alla ricerca della giusta sfumatura di verde, e non è mai tornato.”

(Brevemente risplendiamo sulla terra)

Una breve recensione di sabato mattina.

Little Dog arriva in America nel 1990. Vive con la madre Rose e la nonna Lan, sopravvissute alla guerra del Vietnam. Sopravvissute fisicamente ma con l’anima distrutta dai fantasmi degli orrori passati, sia vissuti in prima persona che quelli di cui sono state spettatrici.

Little Dog sa di avere una vita diversa da quella dei suoi coetanei americani. Non parla come loro, non si veste come loro, non ha una madre come la loro, non ha una famiglia come la loro.

Come tutti gli adolescenti, è in cerca del suo posto nel mondo.

La ricerca della sua identità passa attraverso il rapporto con la madre, che soffre di un disturbo da stress post traumatico, la nonna che vive in un mondo tutto suo e i sentimenti che non può nascondere nei confronti di un coetaneo problematico.

Brevemente risplendiamo sulla terra è un romanzo di formazione che unisce uno stile poetico alla descrizione cruda e cruenta di un’adolescenza “diversa” da quella che ci si aspetta dal sogno americano. Un romanzo che fa riflettere sugli effetti che la guerra del Vietnam ha lasciato in coloro che sono sopravvissuti e che rappresenta una voce assolutamente fuori dal coro rispetto al panorama della narrativa statunitense contemporanea per la potenza della sua narrazione.

L’autore

Ocean Vuong nasce in Vietnam nel 1988 e, proprio come il protagonista del suo romanzo, si trasferisce negli Stati Uniti con la famiglia quando è solo un bambino. Dopo una raccolta di poesie (Cielo notturno con fiori d’uscita), Brevemente risplendiamo sulla terra è il suo romanzo d’esordio, in corso di traduzione in 21 lingue.

Paola Cavioni

Puoi acquistare Brevemente risplendiamo sulla terra anche su Amazon, per essere reindirizzato direttamente al negozio del link affiliazione di Righediarte clicca QUI.

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Io sono Paola, dal 2015 Righediarte è il mio blog, il luogo nel quale condivido la passione che mi anima da che ho memoria: la scrittura. Ricordo ancora l’emozione del primo tema letto di fronte a tutta la classe quando ero bambina. Quella emozione è stessa che metto dentro a ogni mio post, a ogni racconto, ogni poesia che qui condivido con chiunque abbia voglia di leggere e magari lasciare un commento.

L’altra mia più grande passione? Che domanda, i libri! Su Righediarte trovi tante recensioni di libri, senza un ordine preciso perché amo spaziare in ogni ambito della narrativa.

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Righe su “Canto della pianura” di Kent Haruf

Well, my sense of humanity has gone down the drain

Well, my sense of humanity has gone down the drain

Behind every beautiful thing there’s been some kind of pain

She wrote me a letter and she wrote it so kind

She put down in writin’ what was in her mind

I just don’t see why I should even care

It’s not dark yet but it’s gettin’ there

(Bene, la mia umanità è andata nella fogna

Dietro ogni cosa bella, c’è sempre qualche tipo di dolore

Lei mi ha scritto una lettera ed era così dolce

Nelle parole ha messo tutto quello che aveva in testa

Ma perché tutto questo dovrebbe importarmi?

Non è ancora buio, ma lo sarà fra poco)


Not dark yet, Bob Dylan

Canto della pianura (Plainsong, Enne Enne Editore, 2015. Traduzione di Fabio Cremonesi)

Meno di un mese fa ho condiviso sul blog la recensione di La strada di casa.

Oggi torno a parlarvi nuovamente di Kent Haruf con il secondo romanzo della Trilogia della Pianura (il primo è Benedizione, il terzo Crepuscolo, e lo so che non sto andando in ordine ma come dice Karl Kraus “Ben venga il caos, perché l’ordine non ha mai funzionato”)

Il magnifico Canto della pianura è del 1999 e consacra definitivamente il suo autore nell’olimpo della grande letteratura americana, accanto a nomi come Hemingway, Faulkner, Carver e Chandler, ai quali spesso Haruf viene paragonato.

Un libro che è realmente un canto, un romanzo corale ambientato nella tanto amata Holt, che se seppur non esista sembra di vederla sulla cartina, proprio lì accanto a Denver, nell’America che più rurale di così non si può.

Canto della pianura all’interno della Trilogia è il libro dedicato al tema della nascita: un viaggio lungo nove mesi in cui ci accompagnano Tom Guthrie con i figli Ike e Bobby, Vittoria Roubideaux che si trova a dovere affrontare una gravidanza in età adolescenziale, senza un compagno, o meglio con un ex fidanzato che non si può proprio definire un gentiluomo, e con la madre che la caccia di casa, i due anziani fratelli McPheron che sono chiamati ad un compito molto lontano dalla loro natura solitaria e schiva, e poi ci sono Ella, Maggie Jones e gli altri che si muovono sullo sfondo.  

La trama è tutta qua, uno spaccato di nove mesi o poco più nelle vite di un gruppo di persone di Holt che affrontano i problemi del quotidiano: matrimoni che finiscono e figli da crescere, adolescenti difficili, bambini che scoprono come si nasce e come si muore, ragazzine che diventano donne pur non essendo mai state del tutto amate come figlie.

Kent Haruf è un maestro nella tessitura di trame che si intrecciano solo al momento giusto, non un minuto prima; ci fa scorrere sotto agli occhi le vite dei personaggi che alla fine in un modo o nell’altro si ricongiungono, ognuna con le proprie ferite più o meno rimarginate.

E poi quello stile inconfondibile nei dialoghi, che seppure non sono mai indicati dalle virgolette non affogano nel resto del testo. I protagonisti prendono davvero la parola, la vita e si animano davanti al lettore.

Canto della pianura è un fiume in piena, un film che non si può smettere di guardare, idealmente da leggere senza soluzione di continuità.  

Ho terminato la lettura di questo romanzo con le lacrime agli occhi e l’ammirazione sempre più grande nei confronti di un autore che forse ci ha lasciato orfani troppo presto, a poco più di settant’anni nel 2014, che avrebbe potuto regalarci ancora tanta emozione e tanta vita fra le pagine dei suoi libri.

Chiudo con due parole sul lavoro di traduzione di Fabio Cremonesi, che è la voce italiana di Haruf. Chi leggerà il libro si renderà conto, almeno in un paio di occasioni, di quanto possa essere stato difficile rendere in italiano dei termini tecnici legati alla vita rurale, senza però perdere nulla della potenza di quelle particolari scene (che non vi anticipo perché dovete “godervele” in tutto e per tutto). Quindi chapeau, Fabio Cremonesi.

Paola Cavioni

I romanzi di Kent Haruf si possono acquistare anche su Amazon, clicca sul titolo del romanzo per andare direttamente al negozio dal link affiliazione di Righe di Arte:

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Righe su “La strada di casa” di Kent Haruf

“I come from down in the valley
Where, mister, when you’re young
They bring you up to do like your daddy done”

(Vengo dal fondo della valle dove, signore, quando sei giovane ti fanno crescere per fare il lavoro di tuo padre)

The River, Bruce Springsteen

La strada di casa, Kent Haruf (NNEDITORE)

“Alla fine Jack Burdette tornò a Holt. Nessuno di noi se l’aspettava più. Erano otto anni che se n’era andato e per tutto quel tempo nessuno aveva saputo niente di lui. Persino la polizia aveva smesso di cercarlo. Avevano ricostruito i suoi movimenti fino in California, ma dopo il suo arrivo a Los Angeles se l’erano perso e a un certo punto avevano rinunciato. Quindi nell’autunno del 1985, per quanto se e sapeva, Burdette era ancora là. Era ancora in California, e noi ci eravamo quasi dimenticati di lui.”

È su quest’ultimo quasi che si regge tutta la trama di La strada di casa di Kent Haruf (1943-2014), romanzo del 1990 uscito prima della più nota Trilogia della pianura (Benedizione, Canto della pianura, Crepuscolo).

Il titolo inglese originale è in realtà molto più significativo, ai fini della comprensione della storia, di quello italiano: Where You Once Belonged, il posto a cui un tempo appartenevi.

Una sfumatura semantica e una carica emozionale diversa rispetto a La strada di casa, che comunque è un buon titolo.

La storia è sì quella di una partenza e di un ritorno a casa: è la storia di Jack Burdette, raccontata dell’amico Pat Arbuckle, che si svolge in un arco temporale che va dagli anni ’60 al 1985. Dalla nascita al momento della sua scomparsa di Jack da Holt, proprio nel momento in cui sta per diventare padre per la terza volta, e fino al suo ritorno inaspettato che porta non poco scompiglio nelle vite delle persone che lo hanno conosciuto.

Holt è la cittadina, inventata, dell’America rurale che fa da sfondo a tutti i romanzi di Haruf, con i suoi personaggi dalle anime graffiate, dove nessuno è destinato alla redenzione e tutti devono sottostare alla teoria del caos e all’effetto farfalla.

“Boulder [Università ndr] era uno stagno ben più profondo di quanto non si aspettassero quei due ragazzi della contea di Holt.”

Nel film Big Fish di Tim Burton c’è una bella frase che pronuncia il protagonista Ewan McGregor: “tenuto in un piccolo vaso, il pesce rosso rimarrà piccolo, in uno spazio maggiore esso raddoppia, triplica, o quadruplica la sua grandezza”.

Ne La strada di casa Haruf ci dice esattamente l’opposto. Ci dice che quello che in una realtà piccola può sembrare un pesce grosso, tolto dal suo contesto e messo nella vasca dei pesci grandi, si rivela in realtà solo un piccolo pesce rosso, che per sopravvivere deve comportarsi come un predatore.

Il come sarà proprio Pat a spiegarcelo nel corso della narrazione.

La strada di casa emoziona, fa arrabbiare, fa piangere, fa riflettere su cosa vuol dire amare, sul senso di giustizia e soprattutto di ingiustizia di chi non riesce a fare pace con le proprie radici.

Un romanzo che tocca dei punti altissimi di capacità di scrittura, di resa delle immagini, con descrizioni sintetiche e precise come tocchi in punta di fioretto.

Un romanzo per chi ama la buona scrittura e le buone storie, che lascia nelle orecchie il suono metallico e malinconico dell’armonica di Bruce Springsteen e la sensazione destabilizzante, da pugno in faccia, dei libri di Raymond Carver.  

E l’immensa capacità di Haruf di fare assurgere gli altari della Grande Letteratura e a rendere immortale il solo apparente ordinario della vita nella provincia americana.

Paola Cavioni

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“Trilogia di New York” di Paul Auster e la scrittura perfetta

“I libri vanno letti con la stessa cura e la stessa riservatezza con cui sono stati scritti.”

Paul Auster

Paul Auster, La trilogia di New York, edito da Einaudi

Scrivere della Trilogia di New York mi ha messo in difficoltà. Più che altro, mi ci è voluto parecchio tempo per mettere insieme le parole  più adatte in uno scritto degno dello stile di Paul Auster (o almeno ci provo)  per parlare di un libro che ho scoperto lo scorso settembre e che ho letto in un paio di giorni.

Per chi ama scrivere, come me, ogni lettura è fonte di miglioramento per affinare il proprio stile, ogni nuovo autore scoperto rappresenta un maestro da cui carpire tecniche e segreti. Leggere la Trilogia è un’illuminazione.

Perché la scrittura di Paul Auster è essenziale, asciutta, senza fronzoli. Niente di più, niente di meno. Perfetta.

Auster è un architetto delle parole, che costruisce periodi, psicologia dei personaggi, capitoli e intrecci, con la stessa pulizia ed eleganza delle architetture moderniste di Mies Van Der Rohe. Questo per quanto riguarda lo stile, perché il contenuto è un’altra storia… La Trilogia  infatti è una discesa negli inferi della vita frenetica e alienante della New York degli anni ’80, un’esplorazione dell’animo umano nelle sue tante sfaccettature fra nevrosi e follie.

Una scrittura diretta, ipnotica e allo stesso tempo ruvida, che ricorda molto lo stile di Charles Willeford. C’è infatti più di un’analogia fra i due autori. Una fra tutte è il richiamo al Walden di Henry David Thoreau, ma lascerò scoprire a voi tutti gli indizi e le somiglianze disseminati qua e là nelle opere e nelle biografie dei due scrittori americani.

Se non avete ancora letto Willeford, vi invito a farlo; so che invece Thoreau mette in difficoltà anche le menti più allenate alla lettura, ma conviene comunque provare a conoscerlo.

La Trilogia si compone di tre romanzi brevi: Città di vetro, Fantasmi, La stanza chiusa. La sua pubblicazione nella metà degli anni ‘80 consacra lo scrittore nell’olimpo della letteratura americana contemporanea, destinandolo all’immortalità.

Nella Trilogia ci sono più storie che si rincorrono e si chiudono una nell’altra come una matrioska, un libro nel libro, con i personaggi che sembrano richiamarsi gli uni con gli altri e moltiplicarsi. 

Tre romanzi che hanno protagonisti dall’identità confusa, che cambiano nome o che non lo hanno (Città di Vetro), che sono giochi di colori (Fantasmi), che scambiano la loro vita con quella di amici scomparsi (La stanza chiusa).

E ci sono anche altri elementi comuni in tutte e tre i racconti: la follia, i pedinamenti, il taccuino, la descrizione della vita dello scrittore spiantato. Nella Trilogia infatti c’è anche tanto della biografia dell’autore, come se avesse rotto in mille pezzi le sue esperienze personali come scrittore in cerca di fama, e le avesse disseminate qua e là nella trama.

I temi presenti nell’opera di Auster sono ricorrenti: la solitudine dell’uomo di città e la volontà di ritorno a una vita più ascetica e a contatto con la natura, la follia dovuta all’alienazione dal lavoro e dallo stile di vita contemporaneo. E ancora la ricerca del senso dell’esistenza, il bisogno di certezze insito dell’uomo, il fato, il destino che tiene in mano le vite di tutti, lo studio del linguaggio e del legame fra linguaggio ed esistenza.

Un libro, attualissimo anche se scritto ormai quasi quarant’anni fa, adatto a chi non ha paura di guardare in faccia le molte contraddizioni dell’Occidente, che lascia il lettore alla fine con una lieve ma persistente sensazione di amaro in bocca e la certezza che la società occidentale non è fatta a misura d’uomo.

L’autore

Immagine di Paul Auster

Paul Benjamin Auster (conosciuto anche con lo pseudonimo di Paul Quinn) nasce a Newark, città del New Jersey a pochi chilometri da New York, nel 1947.

Il suo talento per la scrittura si manifesta molto precocemente, tanto che compone le prime poesie attorno ai dodici anni.

La sua carriera come scrittore inizia alla fine degli anni ’70, dopo avere svolto per qualche tempo lavori saltuari. La consacrazione avviene fra il 1985 e il 1987 con la pubblicazione dei libri della Trilogia.

Auster è anche saggista, produttore, attore e sceneggiatore.

Paola Cavioni

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