Lune-dì Scrittura, pillole di storytelling: voce narrante e focalizzazione nella narrativa

“La voce narrativa riguarda chi parla, mentre la focalizzazione riguarda chi vede: due domande essenziali per comprendere il funzionamento di ogni racconto.”

Gérard Genette


I giorni che precedono il Natale e il mese di dicembre rappresentano solitamente il periodo delle tradizioni ritrovate. Non mi riferisco in questo caso all’albero di Natale, che almeno a casa mia si fa rigorosamente l’8 dicembre, ma ai miei amati Lune-dì scrittura: quello spazio di Righe di arte dedicato al piacere di esplorare i meccanismi della narrazione. Piacere che per  un po’ (un bel po’) ho lasciato nel cassetto, ma che oggi riprendo con ritrovato entusiasmo.

Ti ricordi la professoressa di letteratura delle medie che con voce squillante e una dizione impeccabile, assegna il compito: “Brano a pagina 54: indica la voce narrante e specifica se è in prima persona o onnisciente”? Ecco, in questo lunedì affronto un aspetto che, ai tempi delle scuole medie, sembrava soltanto un esercizio noioso: individuare la voce narrante in una storia, e il concetto di focalizzazione in una storia. Spero in modo meno odioso della prof delle medie però.

Questi due concetti, insieme a quelli di fabula e intreccio e ai meccanismi narrativi di analessi (flashback) e prolessi (flashforward), costituiscono la base della teoria elaborata da Gérard Genette, teorico della narratologia, nel suo famoso saggio Discorso del racconto (Figure III, 1972).

Partiamo dalla voce narrante, elemento cruciale per comprendere a fondo un’opera letteraria, e anche elemento caratterizzante di molti capolavori della narrativa mondiale.

Ti immagi Il giovane Holden scritto in terza persona? Non suona per niente, vero?

Oppure Moby Dick che comincia con “Lo chiamano Ismaele” (sembra la parodia di “Lo chiamavano Trinità”)

Suonerebbero come delle forzature, un po’ come chiedere al buon Tolkien di tagliare qualche descrizione o a King di essere più sintetico.

Il punto di vista e la focalizzazione sono strumenti narrativi essenziali, veri e propri riflettori che l’autore punta su personaggi ed eventi per guidarci attraverso l’intreccio, creare suspense, dare tridimensionalità alla storia stessa. Una scelta che non è mai frutto del caso, lo sa bene chi ha frequentato coesi di scrittura creativa. È la chiave che plasma il racconto, anche se la maggior parte delle volte non ce ne rendiamo conto, rapiti dal meccanismo basico della sospensione dell’incredulità, dal suono delle parole, dalla bellezza o dalla forza dei personaggi.

Ma quanti sono i punti di vista nella narrativa? Le categorie principali sono tre, vediamole.

Narrazione in prima persona

O narrazione interna, dal punto di vista del protagonista o di un personaggio.

Serve ovviamente ad avvicina il lettore alla soggettività dell’esperienza. Romanzi appunto come Il giovane Holden di Salinger utilizzano questa tecnica per immergere il lettore nei pensieri più intimi dei protagonisti, amplificando emozioni e conflitti interiori. È la forma utilizzata nel diario, nell’autobiografia e nel romanzo epistolare. Memorie di Adriano, capolavoro della letteratura del Novecento, frutto di un lavoro quasi ventennale di Marguerite Yourcenar, è costruito come una riflessione intima e personale dell’imperatore romano e si presenta appunto come una narrazione in prima persona, in cui la voce narrante è uno degli elementi più affascinanti e significativi, in cui il protagonista, ormai prossimo alla morte, ripercorre la sua vita e le sue scelte politiche, filosofiche e spirituali.

Narrazione in seconda persona

Molto rara, ma esiste. Il caso più famoso è opera di un autore a me molto caro: Italo Calvino con il suo Se una notte d’inverno un viaggiatore. Devo ammettere che, proprio per la complessità legata al punto di vista narrativo, questo romanzo non rientra tra le mie opere preferite di Calvino (Italo perdonami). Tuttavia, resta affascinante per come coinvolge il lettore stesso, rendendolo protagonista della storia, rompendo la quarta parete e giocando abilmente con la metafiction.

Narrazione in terza persona

Qua le cose si fanno più articolate: il narratore può sapere tutto, vedere tutto e rivelare i pensieri e le azioni di qualsiasi personaggio. Questa scelta offre una visione globale della storia, permettendo una comprensione approfondita degli eventi e delle dinamiche tra i personaggi. Tuttavia, rischia di creare una certa distanza emotiva, poiché il lettore non si immedesima direttamente in un solo punto di vista, e potrebbe ridurre il gusto per i colpi di scena se gestita in modo troppo esplicito.

Una narrazione onnisciente può essere alternata a momenti di focalizzazione interna su singoli personaggi, bilanciando la prospettiva globale con un’immersione emotiva più profonda.

Un aspetto interessante della narrazione in terza persona è la possibilità di modulare il grado di focalizzazione, il secondo concetto di oggi e di cui parlerò nella seconda parte del post.

Narrazione con punto di vista multiplo

La narrazione con punto di vista multiplo è una tecnica che permette di raccontare la storia attraverso le prospettive di diversi personaggi, offrendo una visione sfaccettata della realtà. Autori come Virginia Woolf utilizzano questa tecnica per passare fluidamente da un personaggio all’altro, svelando prospettive diverse su uno stesso evento. Questo approccio riflette la complessità della percezione umana e sottolinea come ogni individuo interpreti la realtà in modo unico.

Ovviamente ogni scelta narrativa comporta vantaggi e rischi. Il punto di vista multiplo consente di arricchire la narrazione, aggiungendo profondità psicologica ai personaggi e offrendo una comprensione più completa della trama. Tuttavia, se non gestito con attenzione, può causare confusione nel lettore o frammentare il ritmo del racconto.

Uno degli aspetti più delicati di questa tecnica è decidere se ogni personaggio rappresenti un narratore attendibile o inattendibile. Un narratore attendibile offre una visione coerente e credibile degli eventi, mentre un narratore inattendibile, spesso influenzato da pregiudizi o limiti di comprensione, genera dubbi e suspense, costringendo il lettore a interrogarsi su ciò che è reale e cosa invece non lo è.

Focalizzazione: cosa vediamo?

La focalizzazione è una vera e propria regia narrativa: decide cosa mettere a fuoco e cosa lasciare nell’ombra, influenzando così la percezione del lettore. È un po’ come camminare in una galleria d’arte con una torcia: puoi vedere solo ciò che la luce illumina, e ogni dettaglio nascosto crea curiosità o tensione. Questa selettività non è solo uno strumento tecnico, ma un mezzo per costruire suspense, generare empatia o offrire una visione parziale che invita a indagare oltre.

Se la voce narrante risponde alla domanda chi racconta la storia, la focalizzazione si occupa di cosa viene raccontato. Gérard Genette, individua tre tipi principali di focalizzazione:

  1. Focalizzazione zero:
    Il narratore sa tutto, è una mente onnisciente, in grado di esplorare i pensieri, i sentimenti e i segreti di tutti i personaggi, così come di rivelare dettagli sull’ambientazione o anticipare eventi futuri, come accadeva nella maggior parte dei romanzi ottocenteschi dove l’autore ha un controllo assoluto sul mondo narrativo. Si tratta di un approccio che, se non gestito sapientemente può risultare pesante e togliere effetto sorpresa e immediatezza dell’esperienza.
  2. Focalizzazione interna:
    Con questa tecnica, il narratore vede e sa solo ciò che conosce un determinato personaggio. È il caso di La solitudine dei numeri primi, di Paolo Giordano dove il mondo viene filtrato attraverso gli occhi dei due protagonisti Alice e Mattia. Questo tipo di focalizzazione crea un forte senso di immedesimazione, ma limita il lettore a una prospettiva parziale.
  3. Focalizzazione esterna:
    In questo caso, il narratore è un osservatore esterno e si limita a descrivere ciò che può essere visto o sentito dall’esterno, senza accedere ai pensieri o alle emozioni dei personaggi. Questo stile, tipico del minimalismo di autori come Kent Haruf, somiglia al punto di vista di una telecamera: registra azioni e dialoghi senza spiegare troppo, lasciando al lettore il compito di interpretare.

La scelta della focalizzazione non è mai neutrale: ha un impatto diretto sulle emozioni del lettore. La focalizzazione interna, ad esempio, può generare empatia e coinvolgimento, immergendo il lettore nei conflitti interiori di un personaggio. Al contrario, la focalizzazione esterna spesso crea un effetto di distacco, ma può anche accrescere il mistero o la tensione, poiché lascia in sospeso ciò che i personaggi pensano davvero. La focalizzazione zero, infine, trasmette un senso di controllo e chiarezza, ideale per storie epiche o corali, ma può risultare meno intensa dal punto di vista emotivo (e forse anche troppo scontata, bisogna sempre nascondere qualcosa al lettore…).

In definitiva, la focalizzazione è un ingrediente cruciale della narrazione, una lente che definisce non solo cosa il lettore vede, ma come lo vede. Saperla gestire significa avere il controllo dell’attenzione e delle emozioni del lettore, guidandolo attraverso la storia come un regista guida la sua telecamera in un film. E, come ogni grande regista che sapientemente muove una telecamera, un buon narratore sa che a volte è soprattutto ciò che non si mostra a fare la differenza.

In conclusione, chi vuole approcciarsi alla narrativa deve sapere che la scelta della voce narrante e la focalizzazione sono le prime e cruciali decisioni per affrontare la narrazione di un racconto o di un romanzo. È attraverso di loro che la storia prende forma, trasformandosi da semplice trama in un’esperienza complessa, stratificata, plurisensoriale. La vera magia della letteratura risiede qui, nel modo in cui ogni autore, con la sua “luna” di scrittura, ci mostra mondi nuovi attraverso occhi diversi, rendendoci partecipi del suo viaggio.

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Paola Cavioni, 2 dicembre 2024

Lune-di lettura, 10 aprile 2017

magari domani resto

Magari domani resto, di Lorenzo Marone, Feltrinelli 2017

“Che buffa la vita, ti impegni con tutta te stessa a sembrare diversa da tua madre, anno dopo anno, e poi, a un certo punto, una mattina qualsiasi, ti guardi allo specchio e rivedi il suo volto, le sue stesse rughe, e gli occhi stanchi. E sorridi alla tua immagine riflessa per ritrovare l’antica sensazione di fiducia che provavi a un suo sorriso.”

Sicuramente non sono la prima a elogiare l’ultima uscita di Lorenzo Marone.

Non sarò neanche l’ultima a tessere le lodi di questo romanzo uscito a febbraio del 2017 ed entrato subito nella sestina del premio Bancarella.

Un successo che si comprende fin dalle prima pagine del libro, una storia che riesce ad essere perfettamente bilanciata nel sottile equilibrio fra passato e presente. Perché ci sono delle storie che ti avvolgono e ti scaldano come una coperta.

Magari domani resto è la storia di una giovane dal nome insolito: Luce.

Luce ha trentacinque anni e abita a Napoli, nei Quartieri Spagnoli e, a differenza dal suo nome, ha una vita piena di ombre, in una  Napoli dove ancora si fatica a pronunciare la parola camorra. Luce abita sola in un vecchio palazzo dei Quartieri, dopo una storia d’amore finita male. Ha una madre della quale non condivide le scelte di vita, un fratello che vive “su al nord” e non si fa mai sentire, un cane che si chiama Alleria e un lavoro come avvocato. Luce è una donna che sta cercando il suo posto nel mondo, che fa a pugni con il suo passato di figlia cresciuta senza un padre e con un presente che sembra non avere ancora una direzione.

Questo fino a quando non le viene assegnato un caso di affidamento. Il suo studio legale deve dimostrare che Carmen, una donna di umili origine ed ex moglie di un noto camorrista locale, non è in grado di essere una buona madre per il figlio Kevin, di sette anni. Luce si butta a testa bassa nel caso, senza sapere che la vicinanza con un bambino speciale come Kevin cambierà completamente il suo punto di vista sul mondo e sui rapporti umani, scardinando tutte le sue certezze e insegnandole a mostrare il fianco, senza paura, alle sue fragilità. E così la vita di questa giovane si scopre improvvisamente più ricca di quanto potesse sembrare, prendendo una strada del tutto nuova e diversa.

Magari domani resto è un romanzo che ti parla con la schiettezza del dialetto napoletano, che dipinge immagini come scene di un film. Luce incarna una buona parte dei giovani di oggi, indecisi se rimanere o partire alla ricerca di un futuro (ipotetico) migliore. Un libro popolato di personaggi che sembrano realmente presi dai vicoli di Napoli.

Perché iniziare la settimana con Magari domani resto?

Perché è libro che ti sbatte in faccia una sacrosanta verità: non c’è mai un momento giusto per fare pace con il proprio passato e concentrarsi solo sul presente. Perché il presente è tutto quello che esiste.

“E poi mi fa arrabbiare chi vive nel passato, chi sta sempre lì a cercare di non perdere nulla, chi pensa ad ammassare oggetti e ricordi […] il passato sembra sempre il contenitore perfetto della felicità, ma è un abbaglio, un inganno.”

Perché Magari domani resto?

Perché non è mai troppo tardi per prendere in mano la propria vita e deciderne la direzione.

Perché Magari domani resto è un libro che parla di speranza, di quella speranza che la primavera ogni anno porta con sé.

“Be’, non possiamo decidere da dove partire e dove fermarci, però almeno ci è dato scegliere il tragitto da percorrere. Possiamo prendere la strada principale, quella che tutti ci consigliano, la più trafficata, sicura e comoda. Oppure […]  svoltare nel primo sentiero sterrato e andarcene per i campi, nel sottobosco, fra la sterpaglia, il fango e gli insetti, con la possibilità di incrociare quale squilibrato (o dovrei chiamarlo illuminato?) e perderci, e passare una notte all’addiaccio. La scelta è la nostra, la tua, la mia. Io, per quel che mi riguarda, ho preferito fare il brigante”.

Perché Magari domani resto è un libro che parla del valore della famiglia, nel senso più esteso del termine. Delle famiglie formate non solo dai legami di sangue, ma soprattutto tenute insieme dai lacci del cuore.

Perché è un libro che insegna a non giudicare mai le vite e le scelte degli altri e soprattutto a guardare oltre il muro delle apparenze e dei nostri pregiudizi.

“Ogni esistenza, a pensarci, è un intricato e complesso ecosistema nel quale vivono in equilibrio nevrosi, dispiaceri, frustrazioni, novità belle e brutte, traumi, dolori, piccoli momenti di felicità e tanti di noia, eppure alla vista degli altri la nostra vita appare sempre uguale”

 

L’autore

Lorenzo Marone nasce a Napoli nel 1974. Per dieci anni svolge il lavoro di avvocato poi, proprio come la sua Luce, capisce che quella non è la sua strada. E comincia a scrivere.

Dalla sua penna escono:

Magari domani resto è il suo ultimo romanzo.

 

http://www.lorenzomarone.net

Lune-di lettura, 3 aprile 2017

“Tutti vogliono le sensazioni forti, un fuoco scoppiettante, anche a costo che lasci terra bruciata una volta spento, e nessuno una fiammella, accogliente e duratura”

Nei consigli di questo lunedì per iniziare al meglio la settimana entra dritto dritto un libro che la scorsa settimana ha scelto per me  mio marito Alessandro, il mio spacciatore di libri preferito: Distorted Fables (Mondadori 2017, € 16.00) della giovane Deborah Simeone, blogger molto seguita sul web qui al suo primo romanzo.

Un romanzo narrato in prima persona, coinvolgente, che parla soprattutto ad un pubblico di giovani adottandone il linguaggio.

Immaginate di chiamarvi Rebecca, di essere una ragazza bionda poco più che ventenne. Una principessa? No, non siete una principessa: avete un carattere spigoloso come il vostro nome, in una città altrettanto spigolosa come Milano. Poco avvezza ai rapporti umani, per uno strano gioco del destino vi ritrovate a lavorare come portinaia in un palazzo signorile milanese anche se il vostro sogno è sempre stato quello di dipingere. Immaginate di aver perso quello che credevate essere l’amore della vostra vita. Ora, come se non bastasse, provate anche a pensare di avere come compagna di vita un’immaginaria valchiria di nome Crimilde, che appare e scompare come se fosse imprigionata nella vostra testa.

In questa insolita favola, la Simeone descrive la varia umanità che popola il palazzo che fa da sfondo alla storia: una giovane coppia a cui apparentemente non manca nulla ma che si rivela tutt’altro che una famiglia felice, l’arzillo vecchietto che si affeziona a Rebecca e le insegna ad apprezzare la vita, la coppia di anziani coniugi che ancora si vogliono bene dopo una vita passata insieme. A poco a poco, anche grazie al loro aiuto, Rebecca riesce a fare pace con il suo passato e ad affrontare i mostri che abitano dentro di lei.

Una “favola distorta”, moderna, dove la principessa non canta insieme agli animali del bosco ma, al contrario, ha un brutto carattere, è in cura da uno psicologo e deve lavorare per pagare l’affitto del monolocale in cui vive. Una favola dove la principessa si salva da sola e non senza calci e pugni.

Una storia dove il significato della frase “e vissero per sempre felici e contenti” è racchiuso nel gesto amorevole di un anziano vedovo, uno dei condomini, che continua, anno dopo anno, a collezionare quei piccoli soprammobili che la moglie tanto amava.

Una favola dove un insolito principe arriva con la macchina e ha la barba e i capelli lunghi.

“Pensai che in fondo ognuna delle storie d’amore a cui avevo assistito era stata una fiaba, ciascuna a suo modo.”

Un libro per vedere la fiaba dentro ogni vita ed apprezzarla anche quando sembra che l’happy ending tardi ad arrivare.

Buon lunedì!

distorted fables deborah simeone

Lune-di lettura, 27 marzo 2017

“When was the last time you did something for the first time?”

Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta?

John C. Maxwell

 

Quante cose facciamo ogni giorno, sempre nello stesso modo?

Quante giornate viviamo sempre uguali fra loro, tanto da non saper distinguere, nella memoria, un giorno dall’altro?

Quanto ci lasciamo trascinare dagli eventi senza essere reali protagonisti della nostra vita?

Quante cose potremmo fare per migliorare, un giorno alla volta, la nostra esistenza e renderla davvero unica?

Quante volte siamo talmente anestetizzati dalla vita che stiamo vivendo da non capire che potrebbe esserci un’altra strada da percorrere?

E ancora, quante esperienze non viviamo perché arroccati dietro ai finti “non ho tempo”.

 

Per iniziare con il giusto umore questa nuova settimana, in un lunedì che ci accompagna alla fine di marzo, voglio consigliarvi un libro del 2013 di Chiara Gamberale, che offre lo spunto per rispondere a queste domande.

Per dieci minuti è il diario di Chiara che a trentacinque anni, dopo aver perso marito e lavoro nello stesso momento, decide di non arrendersi al dolore e di reagire provando, per un mese, a fare una cosa nuova ogni giorno. Per dieci minuti. Tanto basta per ricominciare da zero.

Il romanzo è il diario di questo mese, il diario di un viaggio e di pezzi di vita che si ricompongono, di una vita che si scopre in modo inaspettato vera e piena, anche quanto apparentemente nulla sembra andare nel verso giusto.

 

“Da quando la mia vita è vuota non mi ero mai accorta che fosse così piena.”

 

Come tutti i libri della Gamberale, un romanzo dallo stile fresco e immediato, quasi colloquiale.

Un libro per scoprire quali sono i dieci minuti più adatti a noi.

Un romanzo che ci aiuta a capire in quanti mille piccoli modi potremmo sfruttare il cambiamento per rinascere ogni giorno.

per dieci minuti gamberale.jpg

 

L’autrice

 

Chiara Gamberale, scrittrice, conduttrice e autrice di programmi televisivi e radiofonici, è nata a Roma nel 1977, dove tuttora vive.

Laureata al DAMS dell’Università di Bologna, esordisce nel 1999 con il romanzo Una vita sottile.

Scrittrice molto amata dal pubblico italiano, il suo ultimo romanzo Qualcosa uscito nel mese di febbraio 2017, è entrato fin da subito nella top 10 dei libri più venduti in Italia.

I suoi libri sono tradotti in quattordici paesi.

 

  • Una vita sottile, Venezia, Marsilio, 1999; Milano, Fabbri, 2004
  • Color lucciola, Venezia, Marsilio, 2001
  • Arrivano i pagliacci, Milano, Bompiani, 2002
  • La zona cieca, Milano, Bompiani, 2008
  • Una passione sinistra, Milano, Corriere della sera, 2008
  • Le luci nelle case degli altri, Milano, Mondadori, 2010
  • L’amore quando c’era, Milano, Corriere della sera, 2011
  • Quattro etti d’amore, grazie, Milano, Mondadori, 2013
  • Per dieci minuti, Milano, Feltrinelli, 2013
  • Avrò cura di te, di Chiara Gamberale e Massimo Gramellini, Longanesi, Milano, 2014
  • Adesso, Milano, Feltrinelli, 2016,
  • Qualcosa, Longanesi, 2017

Lune-di lettura, 20 marzo 2017

Arriva la primavera e si assiste al rinascere della vita.

In questo lunedì vi consiglio un libro per rinascere ogni giorno dell’anno: Piccoli esperimenti di felicità, di Hendrik Groen (edizioni Longanesi). Caso letterario del 2015, è rimasto per diverse settimane in testa alle classifiche di vendita dopo la sua uscita in Olanda ed è stato tradotto in diverse lingue.

Un libro che fa riflettere sulla condizione degli anziani nelle case di cura, sull’eutanasia, sul concetto del tutto personale di vita meritevole di essere vissuta.

“Martedì, 1° gennaio 2013

Anche quest’anno i vecchi continueranno a non piacermi. Il ciabattare dietro i girelli, l’impazienza fuori luogo, le lagne interminabili, i biscottini con il tè, i sospiri e i mugolii.

Ho ottantatrè anni e un quarto”

 

La vecchiaia è la fine di tutto? Si può vivere senza un progetto, uno scopo?

Prima di arrendersi e concedersi la dolce morte, Hendrik, un arzillo vecchietto olandese ospite di una casa di cura e narratore della storia, fonda il piccolo club dei “Vecchi ma non ancora morti”.

Perché?  Per visitare un casinò, partecipare ad un workshop di cucina e ad un corso di tai chi. Insomma, vuole vivere al massimo quello che potrebbe essere il suo ultimo anno su questa terra.

Piccoli esperimenti di felicità è la cronaca diretta e senza filtri di un anno di vita, per ricordarci che si può sfidare la sola attesa della morte, destino cui spesso sono costretti gli anziani ospedalizzati, semplicemente vivendo.

Un libro sulla vita, per apprezzarla dall’inizio alla fine.

Buona primavera!

piccoli esperimenti di felicità.jpg

 

Lune-di Lettura, 13 marzo 2017

Approfitto della luna piena, che questa notte ci ha regalato, e di questo lunedì ormai iniziato, per inaugurare una nuova rubrica: Lune-di Lettura.

Libri per iniziare la settimana in modo positivo ed esorcizzare l’ansia del lunedì mattina. Brevi consigli per libri che portano buonumore (di ansie e tristezze ne abbiamo già tante, troppe, tutti!).

Il libro di oggi è stato una scoperta della scorsa estate, acquistato prima di una breve vacanza in campeggio sul fiume Trebbia: Alla fine andrà tutto bene (e se non va bene … non è ancora la fine) romanzo del 2014 edito da Feltrinelli, della giornalista e scrittrice madrilena Raquel Martos. In realtà è più corretto dire che l’autrice è stata una piacevole scoperta, con il suo stile semplice e scorrevole, da chi mastica tutti i giorni la comunicazione pubblicitaria e televisiva.

Cosa succede nella vita di un persona costretta per settimane ad un silenzio forzato? Cosa accade quando si è costretti ad ascoltare veramente chi ci sta intorno?

Lo scopriamo attraverso le parole di Clara Díaz, la protagonista del romanzo, presentatrice radiofonica che sta vivendo un momento di crisi lavorativa e personale ed è costretta, oltretutto, a restare in silenzio per sei settimane a causa di una operazione alle corde vocali.

Alla ricerca del suo nuovo posto nel mondo, scoprirà che si può comunicare non solo attraverso le parole e che tutti i momenti di crisi nella vita sono, appunto, solo momenti.

Un libro leggero adatto a queste prime giornate di sole, da leggere sul terrazzo di casa, per staccare i pensieri per qualche ora e guardare i problemi della vita quotidiana dalla giusta prospettiva.

“Tutti ad un certo punto della nostra vita abbiamo sentito che non siamo in grado di andare avanti, che non ci resta niente per cui lottare, né voglia, né forze per provarci, ma poi ci riusciamo o almeno ci proviamo. A quel punto ci alziamo, ci scrolliamo di dosso la polvere della caduta e continuiamo a camminare con i graffi sulle ginocchia”

Della stessa autrice: I baci non sono mai troppi, Feltrinelli (2014)

Buon lunedì, lettori!

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