Cinque (importanti) lezioni che ho imparato dai libri

“Una volta che avrai imparato a leggere, sarai libero per sempre.”
(Frederick Douglass)

Ogni ricordo significativo della mia vita è legato a un libro. Ogni istante che ricordo, sia positivo che negativo, è contrassegnato dal ricordo di uno o dell’altro libro. Ogni cambiamento, ogni passaggio, ogni stagione. Non riuscirei a immaginare la mia vita, i miei spazi, le mie conversazioni, senza libri e senza il loro profumo.

Ricordo l’estate calda e la veranda dei miei tredici anni, la sdraio sulla quale per la prima volta ho incontrato Atticus Finch con Scout, il Cardinale Richelieu, Paul Sheldon e tutti gli altri personaggi che hanno popolato la mia immaginazione di adolescente introversa. Ricordo i libri che stavo leggendo quando sono nati i miei figli. Quel Santiago Posteguillo che avevo sul comodino quando è morto mio padre, e la fatica che mi è costata riaprirlo la mattina dopo averlo salutato per sempre.

Da adulta, ho cercato una casa che fosse adatta alla famiglia e ai libri, e conservo ancora un pregiudizio da lettore: se entro per la prima volta in una casa, la prima cosa che faccio è controllare quanti e quali libri ci sono sugli scaffali (questo non l’ho ancora letto!).

La domanda più difficile a cui mi capita di rispondere è sempre “Qual è il tuo genere preferito?”.

Amo e leggo tutto: dai classici mattoni ai romanzi leggeri, autori semi sconosciuti, saggi, libri di sviluppo personale. Non ho mai messo un limite alla mia curiosità di esplorare e scoprire, e penso che mai lo farò.

Aprirsi a questa scoperta è come aprirsi alla conoscenza di nuove persone.

C’è però una costante nel mio approccio alla lettura: non permetto a nessun libro di sfuggirmi senza portarmi a casa un piccolo o grande insegnamento, che va a riempire una valigia preziosa e solo mia. Ecco perché ho deciso di mettere insieme cinque delle lezioni più importanti che ho imparato dai libri, selezionandone uno per ogni insegnamento. Lezioni che segnano una rotta, che non sempre, purtroppo, riesco a mettere in pratica, ma che segnano comunque una direzione.

L’ultima, la più recente e forte, la devo a un grande uomo che ci ha lasciato proprio pochi mesi fa.


  • Saper rallentareUn indovino mi disse di Tiziano Terzani

A marzo di quest’anno, una mattina come tante, mentre andavo a prendere il treno, ho avuto un incidente in macchina. Un incidente stupido che però mi ha lasciato, per settimane, una fottuta paura di rimettermi al volante. Passavo ogni secondo a maledire il fatto di non avere la macchina, a maledire la persona che mi aveva causato l’incidente, ripensando a ogni frazione di secondo di quella mattina pensando “se solo fossi stata più attenta”, tutte quelle cose che si dicono col senno del poi.

Ma c’è un però.

In quelle settimane di lentezza forzata, prima di riuscire a sistemare la macchina, ho potuto accompagnare mio figlio Francesco all’asilo ogni mattina, godendomi i suoi ultimi giorni da “remigino” prima dell’inizio della scuola elementare. Un regalo bellissimo e inaspettato: gli abbracci prima di entrare a scuola e i bacini stampati.

Saper rallentare e guardare le cose da un altro punto di vista è la lezione di Un indovino mi disse di Tiziano Terzani. Nel 1993, Terzani rinunciò ai voli per un intero anno, costretto a rallentare a causa della profezia di un indovino che, molti anni prima, gli aveva predetto che nel 1993 sarebbe morto in un incidente aereo. Girare l’Asia senza poter volare diventò il primo passo di un viaggio straordinario, che gli regalò una prospettiva completamente nuova su un continente affascinante, ma segnato da guerre e complessità.

Rallentare, respirare a pieni polmoni, concedersi il lusso di diventare più consapevoli e coscienti.


  • Restare umaniCecità di José Saramago

Cecità è un romanzo distopico, ma nemmeno troppo, che ci sbatte in faccia l’ipotetico crollo della società occidentale, colpita da una misteriosa malattia che rende tutti ugualmente ciechi, inabili e disumanizza, mettendo gli uomini gli uni contro gli altri. Tutti gli uomini tranne una donna.

La cecità di Saramago è ovviamente metafora della cecità morale e spirituale, cosa che ci spinge a riflettere su un atto di coraggio dal valore inestimabile: restare umani. Una umanità senza nome, in cui ogni personaggio è archetipico.

Mettere da parte il proprio egoismo, restare umani significa riuscire a rispecchiarsi nell’altro, nel vedere ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide. Significa letteralmente vedere l’altro. Cecità di Saramago è un’opera potente che ci invita a riflettere su cosa significhi davvero essere umani, mettendo in guardia contro una società in cui l’individualismo prevale sulla collettività e in cui, forse, vediamo senza comprendere.

Col senno del poi, Cecità mi ha fatto pensare a un periodo della mia vita in cui ho sentito davvero il peso dell’individualismo della società occidentale. Come molti, mi sono trovata a dover affrontare momenti di solitudine e frustrazione, e per un po’ ho guardato il mondo da una distanza di sicurezza, pensando solo ai miei problemi. Ma è stato proprio in quel momento che ho imparato, forse per la prima volta, cosa significa davvero essere “umani”: è un atto di responsabilità reciproca, è la capacità di aprirsi all’altro, di comprendere le sue sofferenze e i suoi bisogni. Non siamo davvero completi se non vediamo l’altro, se non siamo disposti a mettere da parte il nostro egoismo per far spazio all’empatia. Questo è stato uno degli insegnamenti più importanti che ho ricevuto dai libri: restare umani non vuol dire essere perfetti, ma riconoscere che l’umanità è una rete di relazioni che si costruisce solo se siamo capaci di vedere davvero l’altro.


  • Il potere curativo della letteraturaL’arte di essere fragili di Alessandro D’Avenia

Nel mio blog ho parlato più volte di Alessandro D’Avenia, uno degli autori italiani contemporanei più profondi. Ho amato tutti i suoi primi lavori, in particolare L’arte di essere fragili, un romanzo-saggio sulla vita di Giacomo Leopardi, in cui D’Avenia cerca di restituire a Leopardi la sua umanità, togliendogli quella patina di “sfigato” che spesso gli viene attribuita nei programmi scolastici.

Leopardi ci ha lasciato un grande insegnamento: la letteratura e la poesia sono luci che illuminano anche quando tutto sembra buio. Ogni età è parte di un disegno più grande: adolescenza come arte di sperare, maturità come arte del morire, morire come arte di rinascere.

Nel libro, D’Avenia non si limita a raccontare la vita di Leopardi, ma esplora anche il concetto di fragilità come parte integrante della condizione umana. La fragilità, lungi dall’essere un limite, è vista come una risorsa, un’opportunità di crescita e di scoperta. Attraverso le parole di Leopardi, D’Avenia ci invita a riconoscere la bellezza anche nelle nostre debolezze, a guardare la vita con uno sguardo più consapevole e più profondo. La letteratura diventa, in questo contesto, uno strumento terapeutico che ci aiuta ad accettare noi stessi e a fare pace con le nostre difficoltà, ricordandoci che ogni emozione, anche la più dolorosa, ha un valore intrinseco.

Questa visione della letteratura come cura non è solo una riflessione teorica, ma una pratica che possiamo applicare alla nostra vita quotidiana. Leggere, infatti, non è solo un atto intellettuale, ma un’esperienza che coinvolge le emozioni e che ci permette di entrare in contatto con noi stessi in modi che altre forme di comunicazione non riescono a fare. Quando mi immergo nelle pagine di un libro, spesso scopro o ritrovo parti di me che avevo dimenticato o che non avevamo mai conosciuto. La lettura ha il potere di guarire le ferite più profonde, di dare un senso alla sofferenza e di restituirci speranza, anche quando tutto sembra perduto.


  • Ogni vita è un capolavoroL’eleganza del riccio di Muriel Barbery

Ho un grosso difetto che ammetto ormai con consapevolezza: sulle prime impressioni mi sbaglio sempre. Tendo a non fidarmi più del primo giudizio sulle persone che incontro. Questa consapevolezza mi ha permesso di imparare una lezione importante: ogni vita, anche quella più apparentemente comune, può nascondere una dimensione unica e profonda.

Nel personaggio di Renée, portinaia in un elegante palazzo parigino in L’eleganza del riccio, scopriamo un universo complesso e ricco di significati. La sua passione per la cultura, lontana dagli occhi degli altri, dimostra che il valore di una vita non si misura dall’apparenza o dalla posizione sociale, ma dalla capacità di coltivare un pensiero autentico e di vedere la bellezza nascosta. Ogni dettaglio contribuisce a creare una “trama” personale, trasformando la vita in un’opera d’arte unica.

Questa lezione è diventata particolarmente significativa per me nella vita quotidiana, dove spesso, come tutti, sono portata a giudicare le persone solo dalla superficie, da una professione o dallo status sociale. Mi è capitato più volte di scoprire, dietro a persone che inizialmente sembravano banali o poco interessanti, mondi interiori ricchi e sorprendenti. In una recente occasione, ad esempio, ho incontrato una persona che, per quanto silenziosa e poco appariscente, nascondeva una passione profonda per la musica e un’intelligenza acuta che si rivelava solo nelle conversazioni più intime. Quel momento mi ha fatto riflettere su come spesso il nostro giudizio possa essere limitato e su come, invece, ogni persona abbia una storia da raccontare, una trama che può essere altrettanto straordinaria quanto quella di un romanzo. La lettura di L’eleganza del riccio mi ha spinto a rallentare, a guardare oltre la superficie, a cercare la bellezza nascosta in ogni individuo, ricordando che ogni vita ha qualcosa di prezioso da offrire.


  • Raccontarsi con parole giusteLe parole per dirlo di Franco di Mare

Il 28 aprile 2024, come moltissimi italiani, ho seguito l’ultima intervista televisiva del giornalista Franco di Mare, che fino a quel momento avevo associato ai programmi pomeridiani della RAI. Quel giorno, però, qualcosa è cambiato. Non era più solo l’intervista al giornalista di fama, ma l’incontro con un uomo che aveva scelto, con una profondità rara, di raccontarsi in modo sincero e vulnerabile, nell’ultimo drammatico tratto della sua vita. Per questo avevo deciso di leggere subito il suo ultimo lavoro, Le parole per dirlo.

Nel libro, Di Mare non racconta solo la sua carriera, ma soprattutto il suo percorso interiore umano, attraverso il suo lavoro e la sua esperienza di reporter di guerra, con un linguaggio autentico, immediato, di una semplicità quasi disarmante ma allo stesso potente come l’esplosione di una stella.

Da questo libro, che è diventato poi il testamento morale e spirituale del giornalista, ho imparato quanto, nella vita quotidiana, sia difficile ma essenziale scegliere le parole giuste per raccontarsi.

Le parole, se non sono scelte con consapevolezza, rischiano di diventare superficiali, di non fare giustizia alla complessità di ciò che vogliamo comunicare. Di non fare giustizia alla nostra storia.

Raccontarsi è anche un atto di coraggio, una sfida a mettersi a nudo, a permettere alle proprie parole di fare il loro lavoro: quello di avvicinare gli altri, di condividere la propria umanità.

Quante volte, in mezzo ai mille pensieri e preoccupazioni, non ci fermiamo a riflettere sul potere di una parola ben scelta? Quante volte ci risparmiamo dal dire ciò che davvero pensiamo o sentiamo per paura di essere fraintesi, o per la paura di apparire troppo vulnerabili? Franco di Mare mi ha insegnato che le parole giuste sono quelle che riescono a farci sentire davvero connessi agli altri, quelle che, senza maschere, raccontano la nostra verità. Il vero coraggio sta proprio nel saper dire ciò che siamo, senza paura di mostrarsi imperfetti o incompleti. Raccontarsi anche con parole di perdono e comprensione verso sé stessi, penso che questa sia la lezione e la sfida che resta leggendo questo libro.

E siamo alla conclusione di questo lungo post.

Per me libri sono molto più che semplici storie su pagine di carta: sono viaggi, lezioni, riflessioni che restano con noi per tutta la vita. Anche se non sempre riesco a mettere in pratica le lezioni che mi trasmettono, cerco sempre nei libri una guida per essere ogni giorno migliore, più consapevole.

Alla fine, più umana.

A te che sei arrivato a leggere fino a qui dico grazie di cuore.  

Mi piacerebbe leggere un commento con la tua esperienza e le lezioni più importanti che hai imparato dai libri, per poter condividere insieme una ricchezza che cresce ogni volta che la si condivide.

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Paola Cavioni, 30 novembre 2024

Imperfezione d’autunno

Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie.

(Giuseppe Ungaretti)

C’è qualcosa di affascinante nell’imperfetta malinconia dell’autunno, che mi ricorda tanto quella di noi esseri umani.

Stagione di cambiamento, di transizione, in cui apparentemente non accade nulla di eccezionale.

Apparentemente.

Eppure.

Da settembre in poi nulla è immobile, è un susseguirsi ininterrotto di metamorfosi, di foglie che cambiano contorni e colore prima di abbandonarsi al suolo; che non cadono insieme in un piano perfetto, ma in una danza scomposta, un turbine. Ognuno al suo tempo e al suo ritmo, un po’ come i tempi dello sbocciare di ogni esistenza.

Non si può mettere fretta all’autunno.

Me lo immagino, anzi me la immagino, come una vecchia dama altezzosa, che a dispetto di ogni solstizio e data su un calendario, decide lei quando arrivare e quando cedere il passo all’inverno.

Dovremmo prendere esempio ogni volta in cui ostinatamente vogliamo seguire tempi che non sono i nostri, quando ci paragoniamo agli altri.

L’autunno ci insegna la meravigliosa lezione del saper lasciare andare.

Del sapersi ascoltare e accettare.

Quante notti insonni eviteremmo con questi semplici atti di gentilezza verso noi stessi.

Con la consapevolezza che la crescita, il successo e la felicità non sono lineari, non devono essere raggiunti a una certa età o a un certo momento, non sono il traguardo di una maratona ma un nuovo fiore aggiunto con cura e amore ad un giardino giorno dopo giorno. Arrivano quando siamo pronti ad accoglierli, quando abbiamo fatto pace con il nostro ritmo.

Può sembrare esagerato il paragone con Soldati, che chiaramente si riferisce ad un momento storico ben preciso, ma Ungaretti parla di una condizione senza tempo di incertezza e fragilità tipica dell’Uomo.

E l’autunno è forse più di tutte la stagione che ci riporta alla nostra più profonda vulnerabilità, al senso profondo dello scorrere del tempo e di quanto ogni istante sia prezioso, di quanto l’esistenza sia la somma di piccoli attimi di fragilità, anche se ai più è cosa difficile da ammettere in una società in cui la parola fragile è troppo spesso sinonimo di perdente.

Stagione dal fascino più intimo, forse meno instagrammabile di un mare cristallino ad agosto, ma proprio per questo ancora più affascinante, come quelle persone che, pur non essendo “perfette” all’esterno, possiedono un’incredibile bellezza interiore che lascia un’impronta indelebile nel cuore di chi gli sta intorno. Spesso la bellezza della resilienza, sempre quella dell’autenticità.

E alla fine, è proprio l’imperfezione dell’autunno che lo rende così perfetto.

Esattamente come per gli esseri umani.

Paola Cavioni, 27 ottobre 2024

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Superluna 7 aprile 2020

La luna si lascia fotografare, vanitosa più che mai.
Ignara, beata lei, di quello che succede qui..

Dal balcone di casa, Landriano (PV).

Lettera a Luciana. Righe su “Mi vanno a fuoco i piedi” di Luciana Arcaro.

“Il cancro attacca e uccide ogni giorno la vita di milioni di persone; la mia è una storia come quella di tanti altri.

Questo però, vi avverto, non è uno di quei manuali sulla felicità nei quali psicologi americani dai nomi improbabili, scrivono che basta guardare sbocciare un fiore e la vita ci sorriderà…

È vero, la malattia può influenzare o modificare il modo di “vedere” la vita ma se sei stronzo, stronzo rimani, pure col cancro. Molti invece sono portati a pensare che la malattia (come la morte) conduce certamente alla santificazione e ad una saggezza particolare. Io in effetti, lo sono già abbastanza… Saggia non santa. Ed evidentemente modesta.

Questo libro non ha quindi alcuna pretesa se non quella di raccontare una storia, sperando che possa aiutare anche una sola persona a vivere la malattia così come si dovrebbe vivere la vita. Aprendo semplicemente gli occhi per non perdersi niente.

A volte, la paura di morire paralizza le cellule buone perché non sappiamo accettarla; viviamo correndo e scappando, spesso da tutto ciò che non è bello, perfetto e prevedibile.

Le cose brutte, in fondo, accadono sempre agli altri …”

Cara Luciana,

fino a domenica scorsa non ti conoscevo. Sarebbe più corretto dire che tu non mi hai mai conosciuta, ma io ora conosco una parte di te.

Domenica scorsa mia sorella mi ha dato il tuo libro, pregandomi di leggero. Ho subito capito che non sarebbe stato facile leggerlo e parlarne.

Un libro di poco più di cento pagine, piccolo anche nelle dimensioni, eppure enorme.

Perché in quelle cento pagine tu parli della vita che rimane quando un male infame ti condanna a morte. Quando è più importante capire cosa fare con quello che resta, non pensare a quello che manca.

Ho deciso di trascrivere quasi per intero la presentazione che tu stessa hai inserito nel libro, perché è una perfetta sintesi dello spirito che pervade ogni pagine. Perché hai avuto il coraggio di dire come stanno le cose: le cose brutte non capitano solo agli altri. Che non è sempre vero che la sofferenza nobilita. Che il tumore non capita solo agli altri. Che la parola cancro non è un tabù. Che il cancro tocca la vita di tutti, se non la nostra direttamente, quella di un amico, di un figlio, di un marito o di una moglie.

E quando la sentenza arriva, tu ci insegni, non ci sono molte strade da percorrere: lasciarsi andare o combattere.

Accettare la fine della propria vita oppure lottare per tutto quello che resta, finalmente consapevole di tutti i falsi “non ho tempo” detti fino a quel momento, quando di tempo sì che ne avevi, e capisci quanto ne hai sprecato.

E mi fa pensare che tu, Luciana, nonostante avessi tutto il diritto di essere egoista e pensare a te stessa, hai iniziato a scrivere. Hai scritto la tua storia perché potesse essere da esempio per tutti quelli che stanno passando o dovranno passare per il tuo stesso cammino: gli esami, la diagnosi, le operazioni, la chemioterapia, accettare il proprio corpo che cambia, imparare a vivere anche senza una parte di sé, la voce nel tuo caso.

Luciana, il tuo libro non è facile da leggere, anzi, è una doccia gelata. Non è facile da digerire perché non è facile pensare che quello che è successo a te potrebbe succedere a chiunque. Ma non è di chiunque la forza con cui hai affrontato il male.

Nel tuo libro non parli solo del cancro. Parli di amore, parli della vita, parli di Dio.

E nell’abbruttimento del male a cui non ti arrendi, parli della bellezza. Di una bellezza riscoperta, non quella imposta dai canoni sociali, non quella da copertina dei giornali. La bellezza di poter essere protagonista della propria vita, cosa che troppo spesso viene data per scontata. La bellezza di poter guardare un paesaggio, di leggere un libro o ascoltare una canzone. La bellezza racchiusa nei piccoli gesti quotidiani, anche solamente nel potersi lavare la faccia da soli e levarsi lo sporco di dosso.

Parli della bellezza del godersi il proprio tempo, tu che nel tempo della malattia hai anche trovato il coraggio per capire che un amore non poteva più funzionare e ti sei innamorata di nuovo.

Luciana, nel tuo libro parli della “conoscenza” con Etty Hillesum, una giovane ebrea morta ad Auschwitz nel 1943. Durante un soggiorno presso il monastero di Santa Chiara di Cortona leggesti il suo diario, e dal quel momento la portasti sempre con te, come fosse un’amica. Io vorrei poter fare lo stesso con te, e ti ringrazio per aver condiviso la tua esperienza, perché sento che siamo simili in tante cose. La passione per la scrittura, l’amore per il silenzio, quella sensazione di sentirsi sempre più avanti rispetto la propria età, la consapevolezza di avere un’anima “anziana”.

Luciana, sei vissuta sul mare, ad Imperia, alla tua città hai dedicato il tuo libro. La grandezza e la profondità del mare l’hai portata dentro, fino alla fine.

Dicono che la letteratura serva anche per renderci immortali: il tuo corpo ci ha lasciato ma il tuo spirito ha vissuto mille anni.

Grazie Valeria per avermi consigliato il libro, grazie a te Luciana, per la luce che hai portato lungo il cammino.

Per informazioni sulla pubblicazione: linkscliccasullavita@libero.it

Luciana Arcaro.JPG