Lune-dì Scrittura, la sospensione dell’incredulità e The Truman Show (1998)

“Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice”

The Truman Show (Christof)

Qualche giorno fa ho rivisto The Truman Show insieme a mia figlia Gaia, che ha quasi dieci anni e lo ha visto per la prima volta.

Per chi non lo conoscesse, The Truman Show, caso cinematografico della fine degli anni ’90, è la storia di Truman Burbank. Truman, interpretato da un indimenticabile Jim Carrey, vive a Seaheaven, cittadina balneare che incarna il sogno americano con le sue casette tutte in fila e i prati all’inglese. Burbank è sposato con Meryl, fa l’assicuratore, ha degli amici ma soprattutto è inconsapevole del fatto che tutta la sua vita si stia svolgendo in un grandissimo set cinematografico e che ogni avvenimento della sua esistenza è stato deciso a tavolino dal regista Christof (Ed Harris).

Tutta la sua vita di fatto, pur essendo perfetta, è quello che oggi chiameremmo un fake.

Una serie di “intoppi nella sceneggiatura” (come un faro – il finto Sirio della volta celeste – che quasi gli cade in testa mentre è sulla via di casa) iniziano a fare capire a Truman che c’è qualcosa che non torna in questa perfezione, e lo spingono a indagare per capire cosa stia succedendo, realizzando qualcosa che forse aveva intuito da tempo.

Il regista del film è Peter Weir, che lavora sul soggetto scritto da Andrew Niccol (per gli amici cinefili, è lo stesso sceneggiatore del distopico In Time).

Tornando all’origine di questo post e la connessione con le pillole di storytelling del lunedì, devo ringraziare mia figlia.

Mi ha fatto emozionare e riflettere infatti la sua reazione davanti alla pellicola, dato che inizia ora vedere film da adulti e non più solo cartoni animati o film di animazione.

Mentre sullo schermo scorrevano le vicende dei protagonisti, lei continuava a farmi domande sulle sorti del povero Truman.

Ma suo padre è morto realmente?

Perché Truman ha sposato una donna se ama un’altra?

Ma Christof è cattivo?

Perché non vogliono che lui se ne vada dallo show?

Era completamente immersa nel film.

Questo momento quasi di trance, di astrazione dalla realtà e completa immersione in una storia mi porta a parlarvi della sospensione volontaria dell’incredulità, o più semplicemente sospensione dell’incredulità, che è un principio valido sia quando si scrive narrativa (e di conseguenza quando si legge) che quando si guarda un’opera rappresentata.

Leggere un libro, andare a teatro o vedere un film, a meno che non lo si faccia per professione, sono degli atti volontari cui ci si approccia con uno stato d’animo di apertura nei confronti della storia che stiamo per vedere scorrere sotto i nostri occhi. Andiamo al cinema perché siamo disposti a credere a ciò che vediamo, leggiamo un libro perché vogliamo lasciarci trasportare dalle vite dei personaggi e dal loro mondo.

La sospensione dell’incredulità è quel sentimento, di cui non siamo completamente consci, di annullamento del nostro naturale scetticismo per metterci nella condizione di credere a quanto stiamo guardando, emozionarci e, soprattutto, provare empatia per i personaggi e le loro sorti.

È un meccanismo innato che accompagna l’uomo dalla notte dei tempi, da quando le storie venivano raccontate intorno al fuoco. Un filo sottile che lega le narrazioni di tutte le epoche: da Omero alla Bibbia, a Dumas a Hemingway.

Certo l’arte cinematografica dal punto di vista della creazione di mondi verosimili è avvantaggiata, poiché ha a disposizione, oltre alla forza della storia e del soggetto, la recitazione degli attori e la scenografia (come può esserci nel teatro) ma anche gli effetti speciali, l’utilizzo della colonna sonora, le inquadrature, il montaggio ecc…

La sospensione dell’incredulità viene teorizzata all’inizio del diciannovesimo secolo dal poeta e critico letterario Samuel Taylor Coleridge, uno dei fondatori del romanticismo inglese.

La cosa più bella è che nei bambini questo meccanismo non esiste perché per loro non c’è distinzione fra quello che vedono sullo schermo e ciò che succede nella vita reale.

Senza questa sospensione non riusciremmo a vedere un film intero come The Truman Show senza sentirci presi in giro da una storia che, di fatto, è fantastica.  

Senza la sospensione dell’incredulità non potremmo mai fare il tifo per Truman quando cerca di scappare dal destino che Christof ha stabilito per lui.

In The Truman Show inoltre c’è un sottile gioco metacinematografico: noi siamo spettatori anche della vita degli spettatori dello show di Truman, che piangono, ridono o si arrabbiano insieme a lui. La sospensione quindi è al quadrato.

Ovviamente ogni opera per essere credibile deve essere verosimile ed avere una coerenza interna.

Se ad esempio, nel mezzo di The Truman Show fossero arrivati anche gli alieni a complicare le cose, ecco forse avremmo davvero alzato le mani in segno di arresa, e ci saremmo anche alzati dalle poltrone del cinema.

Ma per fortuna, almeno in questo caso, l’immersione nel mondo creato da Christof è completa e niente è lasciato al caso.

Ora che sapete che cosa vuol dire sospensione dell’incredulità però, vi invito a dimenticarvene ogni volta che andrete al cinema. Lì dovete solo rilassarvi, spegnere il telefono, e lasciarvi trasportare dalla storia davanti a un sacchetto di pop corn.

Per la lettura di un buon libro, valgono le stesse prescrizioni.

Paola Cavioni

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