Righe su La mattina dopo, di Mario Calabresi

davLa mattina dopo, di Mario Calabresi

(Mondadori, settembre 2019)

Dovremmo resistere

Dovremmo insistere

E starcene ancora su

Se fosse possibile

Toccando le nuvole

O vivere altissimi

Come due acrobati

Sospesi…

 

Acrobati, Daniele Silvestri

“I primi giorni sono come una corrente a cui non si riesce a sfuggire: non fai che pensare a quello che hai perso. Come un fiume in piena che ti trascina, ogni tanto incontri una roccia o un ramo e per un attimo rallenti, metti la testa fuori, fai un respiro profondo. Per un momento ti illudi di aver razionalizzato, di avere trovato una spiegazione convincente capace di mettere da parte la sofferenza o di contenerla, ma l’istante dopo l’hai già dimenticata e sei tornato in balia della corrente.”

Come è un peccato interrompere un amico che davanti a una tazza di caffè ti sta raccontando la sua vita, così è un peccato interrompere la lettura di La mattina dopo di Mario Calabresi. Poco più di cento pagine che vanno lette tutte d’un fiato, in un paio di ore.

Avevo sul comodino questo libro ormai da qualche mese, mio marito lo aveva comprato appena uscito a settembre dello scorso anno. Fino a ieri non avevo ancora avuto il tempo e il coraggio di leggerlo per timore della tristezza che avrei potuto trovarci.

E invece mi sbagliavo.

Perché un libro dedicato a chi “combatte per tornare alla vita”, non può che trasudare vita ed esaltarla in ogni pagina.

E forse mi è servito leggere questo libro proprio ora, in un momento in cui io stessa mi trovo in prima linea a dover affrontare l’alba di un giorno dopo a provare a ritrovare la rotta dopo la tempesta, per la seconda volta in 34 anni, perché il Covid-19 non ha risparmiato neanche la mia famiglia. E così cerco conforto nei libri, nelle esperienze degli altri, come ho sempre fatto, non potendo più trovare conforto nelle parole di mio padre.

Calabresi parte dal suo presente: è il giorno del suo licenziamento dalla direzione del giornale La Repubblica. Quella prima mattina dopo è lo spunto per ripercorrere a ritroso la sua vita, alla ricerca delle radici della sua famiglia, fino ad arrivare a suo padre e a Giorgio Pietrostefani. E qui è il Mario Calabresi-uomo a parlare, non il giornalista.

Quella di Calabresi non è la sola voce che incontriamo nel libro, perché in ogni capitolo – capitoli brevi che sembrano opera di un pittore più che di un giornalista, poichè ogni frase è stesa con la stessa delicatezza di un artista – ci viene presentata una storia diversa.

Piccole storie nella Storia.

Storie di resilienza, termine del quale si abusa ultimamente, anche a sproposito. Ma sono soprattutto storie di sopravvivenza e di speranza.

“C’è però una mattina dopo che non può essere organizzata perché non poteva essere nemmeno immaginata. Accade con gli incidenti, le morti improvvise, accade quando l’equilibrio della tua vita è sconvolto senza preavviso […] Ci sono lutti e mancanze che forse non si elaborano mai, ma ricordare e provare a sorridere del ricordo è quello che possiamo cercare di fare.”

Calabresi con le sue storie, e i loro insegnamenti, ci racconta una semplice verità: l’unico modo per superare le tragedie è aggrapparsi alla vita e a quello che resta, tanto o poco che sia.

Ci parla così di sua madre Gemma, per due volte vedova, che deve imparare a vivere nuovamente, come se fosse rinata.

C’è Damiano,  giovane sopravvissuto per miracolo a un incidente aereo in Africa, che decide appena rimessosi in piedi di non smettere di fare surf e di viaggiare.

C’è Andra Bucci, “ragazza di 80 anni” sopravvissuta  con la sorella ad Auschwitz, che tutti i giorni va a camminare all’alba e fa tre o quattro mezze maratone all’anno. Ognuno trova una cura per l’anima in modo differente.

“La ascolto parlare e mi viene in mente una canzone degli Oasis, Don’t look Back in Anger. Parla di tutt’altro, ma il suo titolo è la sintesi perfetta di quello che mi porto a casa dei giorni passati con Andra: non guardare al passato con rabbia. Non puoi cambiare ciò che è successo, bisogna farci pace. E prima lo si fa meglio è.”

Perché la mattina dopo è quella in cui ti trovi davanti un bivio: lasciarti consumare dal dolore e dalla rabbia o provare a trovare un accordo con il destino, con Dio o con la sfortuna (ognuno la chiami come vuole). Dove fare pace, trovare un punto d’incontro, non vuol dire smettere di soffrire, ma riuscire a convivere con le cicatrici della vita, che in qualche modo prima o poi colpisce tutti, senza distinzione.

Perché la mattina dopo ha tanti volti. Ha il volto del tempo vuoto di chi ha perso il lavoro di una vita. È il letto vuoto di chi ci ha lasciato per sempre. È il tempo che resta ad un malato terminale. È  il vuoto di un braccio o una gamba che mancano dopo un  brutto incidente.

La mattina dopo è il momento in cui ti rendi conto che devi provare a mettere insieme i pezzi per provare a dare un senso alla sofferenza che vita ti presenta come un conto troppo salato.

Non è un libro su chi ce l’ha fatta, ma su chi ci sta provando.

Perché farsi consumare dalla rabbia o abbandonarsi al dolore possono dare conforto per un breve lasso di tempo, il tempo di decidere se scegliere la vita, la speranza, o la morte.

 

L’autore

mde

Mario Calabresi nasce a Milano nel 1970, figlio di Luigi Calabresi e di Gemma Capra.

Studia Storia contemporanea all’Università Statale di Milano e si specializza poi alla scuola di Giornalismo “Carlo de Martini”. Inizia nel 1996 la sua carriera come cronista politico all’Agenzia Ansa di Montecitorio.

Lavora come inviato speciale per La Repubblica e La Stampa, raccontando gli Stati Uniti dopo gli attentati del settembre 2011 e le elezioni presidenziali del 2008.

È il più giovane direttore de La Stampa, che dirige dal 2009 al 2016.

Dal 2016 al 2019 è direttore de La Repubblica.

Il suo primo romanzo, Spingendo la notte più in là, tradotto in Francia, Germania e Stati Uniti, vende oltre mezzo milione di copie.

“Faccio il giornalista fin da bambino, se giornalista significa avere curiosità di tutto quello che accade nel mondo. Mi piace capire il perché dei fatti e le storie delle persone.”

Mario Calabresi

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Paola Cavioni

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