Kent Haruf e le storie dalla terra

“We got one last chance to make it real
To trade in these wings on some wheels
Climb in back
Heaven’s waiting on down the tracks
Oh oh come take my hand
Riding out tonight to case the promised land”

(Abbiamo un’ultima possibilità per farli avverare [i sogni], per scambiare con delle buone ruote le nostre ali. Salta su, il Paradiso ci aspetta lungo il percorso. Dai, prendi la mia mano, stanotte cercheremo di raggiungere la terra promessa)

Thunder Road, Bruce Springsteen

Se c’è un autore che ho scoperto e che ha caratterizzato tutto il mio 2021 con un amore a prima lettura è sicuramente è Kent Haruf. A lui dedico questo lungo post, alla fine del quale trovate gli incipit dei suoi romanzi, che vi invito a leggere perché sono sicura che non rimarrete delusi.

Tutti i libri di Kent Haruf sono pubblicati in Italia da NN Editore

Alan Kent Haruf nasce nel 1943 a Pueblo, città nel sud del Colorado, sul fiume Arkansas.

La vita qui non deve essere facile. Non è il sogno americano quello che si vive fuori dalle grandi metropoli. È una vita fatta di fatica, violenza, solitudine, soprusi, conflitti, infanzia violata nel corpo e nello spirito. Un mondo intero di luci e ombre che entra nei libri di Haruf, rinascendo sotto le mentite spoglie di Holt. Città che sulla carta del Colorado non troverete mai ma che esiste, vera e prepotente, nella testa del suo inventore, talmente chiara che se ne riesce perfino a disegnare la geografia.

La trovate, è alla fine di Le nostre anime di notte (Our Souls At Night), provate a cercarla.

Kent è figlio di un pastore e di una insegnante, si laurea alla Nebraska Wesleyan University e si forma leggendo William Faulkner e Ernest Hemingway.

Come molti altri autori, anche suoi contemporanei, prima di riuscire a mantenersi con la sola attività di scrittore svolge molti altri lavori: insegnante, bracciante, bibliotecario.

Ma la sua strada è la scrittura e lotta a lungo per realizzare questa vocazione.

Pubblica i primi racconti all’inizio degli anni ’80; il primo romanzo, Vincoli (The Tie That Binds) è del 1984.

Per uno strano scherzo del destino, la sua consacrazione e il riconoscimento da parte della critica arrivano solo nel 1999 con Canto della pianura (Plainsong). Haruf ha 56 anni.

Muore nel 2014 a Salida, cittadina poco distante da Pueblo, tornato a vivere in Colorado dopo una vita trascorsa in giro per gli Stati Uniti e dieci anni in Illinois. Coincidenza, sceglie di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nel posto a cui apparteneva, proprio come il titolo (in originale) di La strada di casa: Where You Once Belonged.

Ci ha lasciato in eredità sei meravigliosi romanzi, tutti scritti dopo i quarant’anni, tutte opere mature, profonde, strazianti e bellissime allo stesso tempo.

La scrittura di Haruf è piana, semplice e terribilmente aderente alla realtà, cadenzata da dialoghi in discorso diretto libero, senza marcatori di punteggiatura, tecnica difficilissima da padroneggiare e usata tra l’altro da pochi altri grandi autori come Josè Saramago, in forma ancora più estrema, e Cormac McCarthy.  

Nel suo primo romanzo, Vincoli, sono già presenti tanti dei temi che, quasi come un’ossessione, ritornano nelle opere di Haruf: la voce narrante in terza persona, l’attaccamento alla terra e alla fatica del lavoro nei campi, la presentazione dell’infanzia come momento della vita che non è esente dal dolore e dalla morte, la sofferenza nell’esistenza, amanti che il destino avverso separa, la violenza della società che si incarna, in ogni libro, in un personaggio.

Ma anche temi positivi come la ricerca del riscatto sociale, l’amore come possibile redenzione, che rende la vita degna di essere vissuta, a prescindere dall’età, l’onore, la compassione. C’è poi la Storia, che fa da cornice agli eventi ma resta sempre sullo sfondo, perché tutte le storie di Kent Haruf sono senza tempo.

E poi ancora l’intreccio tutto particolare che riesce a creare nei suoi romanzi, che non hanno praticamente mai un solo protagonista, ma tante piccole storie, ognuna con un proprio sviluppo e un proprio arco di trasformazione, che a volte si intreccia alle altre storie, o a una sola di esse, solo alla fine del romanzo. In ogni libro inoltre ci sono piccoli rimandi agli altri, come se Haruf si fosse divertito a giocare con lettore che deve riuscire a riconoscere il dettaglio, il particolare che rimanda a un altro dei romanzi di Haruf, sempre dentro al micro cosmo di Holt.

E il legame con la terra, la sua terra, il Colorado che è tutto lì fra le case, le vie, i campi e i sassi di Holt.

Buona lettura.

Vincoli. Le origini di Holt (The Tie That Binds)

Prima edizione 1984

“Edith Goodnough non vive più in campagna. Ormai sta in città, in ospedale, in quel letto bianco, con un ago infilato nel dorso della mano e un uomo che la sorveglia in corridoio, fuori dalla sua stanza. Questa settimana compie ottant’anni: una donna linda, bella, con i capelli bianchi, che in vita sua non è mai arrivata a pesare cinquanta chili e che da Capodanno ne pesa ancora meno di così.”

Libro che si apre come un giallo, con un omicidio, ma si rivela un’epopea storica che ci porta in un viaggio dalla fine del XIX alla metà degli anni ’70, in un’America in continua evoluzione, che però nel mondo chiuso di Holt sembra rimanere sempre uguale e se stessa.

Un cerchio che inizia e si chiude nel 1977.

La strada di casa (Where You Once Belonged)

Prima edizione 1990

“Alla fine Jack Burdette tornò a Holt. Nessuno di noi se l’aspettava più. Erano otto anni che se n’era andato e per tutto quel tempo nessuno aveva saputo niente di lui. Persino la polizia aveva smesso di cercarlo. Avevano ricostruito i suoi movimenti fino alla California, ma dopo il suo arrivo a Los Angeles se l’erano perso e a un certo punto avevano rinunciato.”

Il libro che più ho amato, il primo che ho letto e il più poetico fra i libri di Haruf*.

Trilogia della pianura

Benedizione (Benediction) – I libro

Prima edizione 2013

“Appena gli esiti dell’esame furono pronti, l’infermiere li chiamò nell’ambulatorio, e quando il medico entrò nella stanza diede un’occhiata e li invitò a sedersi. Capirono come stavano le cose guardandolo in faccia.”

Il più intimo fra i libri della trilogia, per il tema che tratta: il rapporto con noi stessi davanti alla vita che finisce. Cosa succede dei nostri rimpianti, dei fallimenti e delle occasioni perse per sempre?

Canto della pianura (Plainsong) – II libro

Prima edizione 1999

“A Holt c’ere quest’uomo, Tom Guthrie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno. Quando il sole ebbe raggiunto la sommità del mulino a vento, l’uomo rimase a guardare la luce che si faceva sempre più rossa sulle alette di acciaio e sulla coda, alte sulla piattaforma in legno.”

Lente di ingrandimento puntata in questo caso sull’inizio della vita, sul suo sbocciare a dispetto delle avversità del mondo.

Crepuscolo (Eventide) – III libro

Prima edizione 2004

“Tornarono dalla scuderia nella luce obliqua del primo mattino. I fratelli McPheron, Harold e Raymond. Vecchi che si avvicinavano a una vecchia casa alla fine dell’estate. Attraversarono il vialetto sterrato, superarono il furgone e l’automobile parcheggiata accanto alla recinzione in rete metallica e varcarono il cancello l’uno dopo l’altro.”

In Crepuscolo ritroviamo alcuni dei protagonisti di Canto della Pianura, nel più malinconico dei libri della trilogia. Preparate i fazzoletti.

Le nostre anime di notte (Our Souls at Night)

Prima edizione 2015

“E poi ci fu il giorno in cui Addie Moore fece una telefonata a Louis Water. Era una sera di maggio, appena prima che facesse buio.

Vivevano a un isolato di distanza da Cedar Street, nella parte più vecchia della città, olmi e bagolari e solo un acero cresciuti sul ciglio della strada e prati verdi che si stendevano sul marciapiede fino alle case a due piani.”

Opera con cui Haruf si congeda dalla letteratura, e in fondo dalla vita. Una storia romantica e anticonvenzionale, su un argomento che spesso è ancora considerato un tabù: l’amore fra due persone anziane. Nel 2017 ne è stato tratto un bellissimo film omonimo, con Robert Redford e Jane Fonda.

Tutti i libri di Kent Haruf sono tradotti in italiano da Fabio Cremonesi, puoi acquistarli anche su Amazon cliccando sul titolo del libro in neretto e sottolineato.

Visita il sito web della casa editrice su www.nneditore.it

Paola Cavioni

14 dicembre 2021

*Puoi leggere la recensione del libro, già pubblicata su Righe di Arte, a questo link:

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Le piccole libertà di Lorenza Gentile

“La libertà personale è inviolabile”

(Articolo 13 della Costituzione Italiana)

In questi giorni avevo voglia di sognare, di leggere una bella storia, qualcosa di nuovo e scritto bene.

Ho scelto di farlo lasciandomi guidare dalle parole di Lorenza Gentile, che con il suo ultimo romanzo Le piccole libertà, edito da Feltrinelli nel 2021, mi ha trasportato in viaggio fino a una Parigi primaverile e incantevole.

In Le piccole libertà è Oliva (proprio così, Oliva e non Olivia) che parla al lettore e racconta la sua storia.

È il 2011, Oliva ha trent’anni e un’insolita passione per le frasi contenute biscotti della fortuna, due genitori che le vogliono bene ma hanno il brutto vizio di vederla ancora come una bambina e da sempre troppo apprensivi a causa della perdita del loro primo figlio, ha un lavoro precario in una multinazionale, è fidanzata con Bernardo, avvocato dal futuro brillante con il quale sta per sposarsi per poi trasferirsi nella villetta a due piani che stanno arredando in vista del matrimonio.

Una vita normale, che cerca di riempire con la ricerca di quella che per la società, per la maggior parte delle persone, è considerata la “felicità”: lavoro a tempo indeterminato, marito di successo al suo fianco, vita tranquilla e sicura, dei bambini da crescere, un cane e i week end in Liguria.

Ma allora perché di notte Oliva non riesce a dormire, soffre di tachicardia, si sente costantemente fuori posto in quel mondo dall’apparente perfezione che si sta costruendo con più fatica di quella che dovrebbe essere?

Perché si sente così vuota, stanca e costantemente inadatta?

Cosa la fa sentire in prigione e non padrona delle sue scelte?

Perché sente il bisogno di parlare dei suoi sogni e delle sue paure con una psicologa invece di urlare al mondo che vorrebbe fare l’attrice, che quando nessuna la vede imita la scena finale di Via Col Vento, e che ai numeri e alla analisi di mercato preferisce preparare rimanere in cucina a preparare dolci?

Poi, come un fulmine a ciel sereno in un giorno come un altro, una lettera la esorta a lasciare tutto e a partire per Parigi. Solo per due giorni, sembrerebbe, e ad aspettarla c’è una persona uscita dal suo passato: la zia Vivienne, sorella di suo padre, con la quale non ha rapporti da oltre 15 anni.

La zia Vivienne che fa parte di tutti i suoi ricordi più felici di bambina, che profuma di incenso e di mandorla dei macarons, anima bohémienne, l’unica che l’abbia sempre spronata ad inseguire la sua felicità e a essere davvero libera, come lo è lei.

Perché la sta invitando proprio ora, davanti alla celebre libreria Shakespeare and Company?

La Shakespeare and Company, luogo d’incontro d’intellettuali e artisti di fama internazionale, ma anche rifugio per molti giovani che qua possono rimanere come se fosse un ostello, dando in cambio qualche ora di lavoro in libreria.

“Ci sono piccole libertà che ci cambiano per sempre.

Perché tante piccole libertà ne fanno una grande.”

Oliva affronta la paura e le obiezioni di genitori e fidanzato, che la vorrebbero tenere al sicuro vicino a loro e parte, moderna Dorothy verso la sua misteriosa Oz.

Ancora non sa che il viaggio a Parigi sarà un’avventura alla scoperta del suo vero io, uno scontro frontale con una nuova realtà fatta di amicizie che diventano famiglia, di sogni che sembrano fragili e irraggiungibili ma senza i quali forse non vale neanche la pena di vivere, di materassi stesi sul pavimento della libreria, di autostop e lunghe camminate lungo i boulevard e la Senna.

Alla scoperta del segreto più grande che riguarda la sua famiglia e che solo la zia Vivienne sembra volerle rivelare…

Le piccole libertà è un libro che senti sulla pelle, pieno d’amore per la meravigliosa città che le fa da cornice, Parigi; un libro fresco ma pieno di moltissime riflessioni profonde sul senso dell’esistenza e di come sia facile, lungo la strada, perdere la rotta della felicità o credere al modello che ci viene imposto, anche in buona fede, dalla nostra famiglia.

Le piccole libertà è un libro che parla della e alla generazione dei trentenni di oggi, costantemente divisa fra la ricerca di una realizzazione che non sembra mai arrivare, tra confronto che vede da un lato i coetanei che “ce l’hanno fatta”, e dall’altro i genitori che per il troppo amore spesso non lasciano liberi di sperimentare, di sbagliare.

Una generazione che conosco molto bene, perché è la mia, che di Oliva condivido molte paure e fragilità.

È un libro che parla anche ai genitori della mia generazione, con parole che forse non si sono ancora sentiti dire.

Un libro adatto a chi cerca, come ho scritto in apertura, una bella storia che rispecchi e rappresenti il carosello della vita, che quasi mai è lineare e forse proprio per questo vale ogni respiro, ogni caduta e ogni cambio di rotta.

Per ricordarsi che ogni tanto per ritrovarsi bisogna avere prima la forza di lasciarsi andare al vento, come foglie cadute da un ramo.

Bravissima Lorenza, e grazie Oliva per il viaggio.

Paola Cavioni

L’autrice

Lorenza Gentile nasce a Milano nel 1988, cresce fra Firenze e Milano, studia e lavora a Londra e Parigi. Le piccole libertà si ispira proprio alla sua esperienza di lavoro a Parigi nella stessa libreria dove è ambientato il romanzo.

I suoi libri sono tradotti in Spagna, Germania e Corea.

Puoi acquistare il libro anche su Amazon, per andare allo shop clicca QUI.

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Puntare la luce

L’altra sera mentre mettevo a letto i bambini ho osservato la luce della lampada sul comodino.

Mia figlia la stava regolando e continuava a girarla prima verso il basso e poi verso l’alto.

Quando la teneva verso il basso, la timida luce della lampadina riusciva a illuminare solo il piccolo spazio fra il comodino e il letto, lasciando il resto della camera da letto immersa nel buio.

Ma quando la girava verso l’alto, verso il soffitto, quella luce così piccolina poteva liberarsi, rimbalzare sulle pareti e illuminare tutta la stanza.

Penso che sia una bella metafora della nostra vita: dovremmo poter fare esattamente così per vivere al meglio, trovare la posizione giusta dalla quale fare luce più luce possibile.

Se un posto, una persona, un lavoro, una condizione particolare ci fanno rimanere al buio o non ci permettono di brillare con tutti i nostri colori, abbiamo il dovere di cambiare.

Perché alla fine siamo tutti energia, un po’ come il sole; ma a differenza del sole che regala i suoi raggi infiniti indistintamente, noi siamo esseri finiti.

Abbiamo però un grande privilegio: quello di poter cercare lo spazio giusto al quale regalare il nostro calore, la nostra forza.

Alla fine, basta solo capire dove vale la pena di puntare la luce.

4 dicembre 2021

Paola Cavioni

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