Righe su “La donna degli alberi”di Lorenzo Marone

“I bilanci non sono per la nostra ultima parte di vita, stanno invece nel mezzo, sono per chi ha ancora tempo da tessere, mia nonna non si perdeva dietro ai bilanci, aveva da tirare avanti con dignità.”

Lorenzo Marone

Oggi torno a parlare di Lorenzo Marone, autore napoletano che apprezzo e stimo molto e che ho avuto anche la fortuna – dico fortuna perché è scrittore di successo ma assolutamente affabile e soprattutto profondo – di conoscere di persona nel 2018 in occasione dell’uscita del suo romanzo Un ragazzo normale (incentrato sulla storia del giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra nel 1985).

A ottobre del 2020 Marone esce con La donna degli alberi (Feltrinelli editore), romanzo molto differente rispetto ai suoi precedenti.

La copertina è evocativa: una donna ci cammina distrattamente davanti agli occhi, scalza e alta come gli alberi, una moderna Gulliver dei monti. Questa donna non ha volto, come nel romanzo la protagonista, che parla in prima persona, non ha un nome.

Nessuno ha un nome nella storia, i personaggi che portano avanti la narrazione sono identificati dalla loro caratteristica principale: lo Straniero, la Guaritrice, la Rossa, il Cane.

Personaggi che richiamano agli archetipi della psicologia e che guidano il lettore in un processo di profonda identificazione.

La donna degli alberi è la storia di una donna in fuga dalla città e da una vita nella quale non si riconosce più, da un passato forse doloroso che ci viene presentato in frammenti di ricordi e lunghe riflessioni, e da un complesso rapporto con i genitori, in particolare con il padre, tema ricorrente nell’opera di Marone.

È una storia di fuga e ritorno, di ricerca e di elevazione dello spirito umano che esplora e scopre se stesso nel contatto con la natura, con la montagna che è sfondo e ambientazione della vicenda, che non ha però una precisa collocazione temporale e spaziale.

La montagna, che può essere una madre amorevole ma anche una Medea inconsapevole che uccide i suoi figli.

La montagna è anche una madre esigente, che costringe l’uomo a fare i conti con l’infinitamente grande e con l’infinitamente piccolo: la maestosità degli alberi secolari, l’altezza delle vette che sfiorano il cielo e conoscono il mistero dell’esistenza di dio, che ricordano con forza quanto sia fragile la vita.

La donna degli alberi è un libro che profuma di resina e legno che brucia nel camino, che fa sentire nelle mani la fatica del freddo che spacca la pelle alla fine di una giornata di lavoro.  

Un libro che commuove, che insegna, come solo la montagna sa fare, carico di riflessioni sul senso di chi siamo, con il tempo che è assolutamente il protagonista indiscusso. Il tempo che scandisce le vite, unico reale comune denominatore di ogni esistenza.

Chiudo questa recensione con la descrizione che si trova in terza di copertina e che riassume pienamente lo spirito che accompagna tutta la narrazione: “un romanzo lirico e poetico sulla forza d’animo che, a volte senza saperlo, custodiamo dentro di noi. Un invito a coltivare la bellezza del minuscolo e dell’essenziale, a preoccuparsi anche per ciò che verrà e che è altro da noi.”

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Trovi le mie recensioni ad altri due romanzi di Lorenzo Marone, Un ragazzo normale e Magari domani resto, a questo link:

https://righediarte.com/tag/lorenzo-marone/

L’autore

Lorenzo Marone è nato a Napoli nel 1974.

Esordisce nel 2015 con il romanzo La tentazione di essere felici (Longanesi). Con Longanesi pubblica anche La tristezza ha il sonno leggero, premio Como 2016 da cui è stato tratto il film omonimo.

Con Feltrinelli pubblica Magari domani resto (Premio Bancarella 2017), Un ragazzo normale (Premio Giancarlo Siani 2018), Tutto sarà perfetto (2019) e i saggi Cara Napoli (2018), Inventario di un cuore in allarme (2020).

Il sito web dell’autore è  www.lorenzomarone.net

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Paola Cavioni

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Donne dell’anima mia di Isabel Allende

“Ho vissuto in un mare in tempesta, con onde che mi portavano sulla cresta e poi mi facevano precipitare nel vuoto. Queste ondate sono state così forti in passato, che nei periodi in cui tutto andava bene, invece di rilassarmi e godermi la pace del momento, mi preparavo alla successiva violenta caduta, che credevo inevitabile.

Adesso non è più così. Ora navigo alla deriva, giorno per giorno, contenta del semplice fatto di galleggiare finché è possibile.”

Isabel Allende

C’è chi si affida al comfort food nei momenti di tristezza o malinconia.

Io preferisco un buon comfort book, e Isabel Allende è sicuramente in cima alla lista degli autori che riescono sempre a farmi stare bene, a prescindere da tutte le circostanze.

Sono consapevole che non valuterò mai in modo oggettivo la sua opera perché è troppo grande la stima e l’ammirazione che nutro nei confronti di questa donna che con i suoi libri riempie la mia vita da oltre vent’anni, da quando, grazie al consiglio di una cara amica, lessi La casa degli spiriti e mi si aprì un mondo: quello magico, tragico e meraviglioso dei personaggi usciti dalla penna di Isabel Allende.

Ricordo con grandissima emozione il momento in cui ebbi occasione di vederla di persona alla fine del 2019. Si trovava in Italia per la presentazione di Lungo petalo di mare, in una Feltrinelli in centro a Milano così gremita, che solo qualche mese dopo sarebbe stato impensabile e impossibile organizzare un evento simile.

Io fui tra i fortunati che riuscirono a vederla e ascoltarla bene perché ero davvero a pochi metri da lei.

Fra lacrime di emozione – le mie – trovai esattamente la Allende che mi ero sempre immaginata: spiritosa, profonda, decisamente folle (ma quale animo artistico non è un po’ folle?) e sempre innamorata. Innamorata del suo nuovo marito (il terzo, di cui parla anche in Donne dell’anima mia), innamorata ancora della scrittura, innamorata del Cile anche se non è più la sua casa da molti anni ormai, innamorata della vita e riconoscente per tutto quello che le ha dato, nel bene e anche nel male.

Perché la sua non è stata una vita semplice: l’abbandono del padre quando era solo una bambina, l’esilio durante gli anni della dittatura di Pinochet in Cile, la malattia e la morte dell’amata figlia Paula, solo per fare qualche esempio.

Una donna però che non si è mai lasciata abbattere dagli eventi e che riesce ancora a trasmettere una grandissima carica, la stessa che leggiamo nei suoi romanzi che da sempre parlano di donne solo apparentemente fragili, ma dotate in realtà di una forza straordinaria.  

Anche da una riflessione su tutte le eroine che hanno popolato le sue storie, nasce Donne dell’anima mia (Feltrinelli editore), scritto nei primi mesi del 2020, terminato a marzo nel pieno della prima ondata di Coronavirus, e uscito alla fine dell’anno appena trascorso.

Il titolo riprende quello di un suo precedente romanzo, Inés dell’anima mia, del 2006.

C’è da premettere che in questo caso non si tratta di un vero e proprio romanzo ma una sorta di breve autobiografia rivista sotto la lente di ingrandimento del suo femminismo “innato”.

“Non esagero quando dico che sono femminista dai tempi dell’asilo, da prima che questo concetto entrasse nella mia famiglia.”

Isabel Allende

Il libro si articola in brevi capitoli tematici che seguono un flusso di pensieri più che un ordine logico o cronologico, come se fossimo di fronte alla trascrizione di un diario, scritto sotto la spinta di un bisogno intimo di fissare nero su bianco in maniera indelebile i ricordi, per farne tesoro in questi anni della “maturità”.

Isabel Allende parla di sua madre Panchita, inconsapevole causa del suo femminismo, proprio lei così legata ai tradizionali ruoli maschili e femminili, della figlia e della sua malattia, delle nipoti, del rapporto con le donne che nel corso degli anni le sono state vicine in vario modo (dalla sua editor alle amiche), e dall’esempio di queste donne ci trasporta in una riflessione generale che è la fotografia della condizione della donna nel mondo di oggi, delle speranze per il futuro e per una reale uguaglianza fra uomo e donna.

Con lo stile profondo ma anche ironico che da sempre caratterizza la sua scrittura, la Allende regala ai lettori tanti ricordi preziosi legati alla sua vita lunga e ricchissima, rivivendoli senza malinconia ma con la determinazione di chi ha fatto tesoro di ogni evento e vuole vivere pienamente fino all’ultimo istante.

Forse per la prima volta in modo così chiaro e diretto, Isabel Allende racconta le sue convinzioni personali e politiche perché in Donne dell’anima mia, tra un ricordo e l’altro, parla di immigrazione, di contraccezione e di aborto, del mondo occidentale dove si vive sempre più a lungo ma spesso la vecchiaia è vista erroneamente come una malattia, della tutela delle donne soprattutto nei paesi in cui anche solo nascere è una sfida, se non si ha la “fortuna” di essere uomini.

La Isabel che ci sorride dalla seconda di copertina in Donne dell’anima mia è ancora affascinante, con lo stesso sguardo e lo stesso sorriso cui siamo ormai abituati.  

L’unica cosa che è cambiata negli anni sono i capelli, che ora porta bianchissimi, testimonianza esteriore del tempo che passa, dei suoi anni che non rimpiange, della sua saggezza.

Consiglio Donne dell’anima mia a chi è già un lettore di Isabel Allende, mi sembra quasi scontato dirlo, ma anche a chi ancora non la conosce perché la lettura di questo libro sarà certamente scintilla di curiosità per scoprire l’opera di una delle voci più importanti dell’America Latina.

Paola Cavioni

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Per tutte le informazioni sull’autrice puoi consultare il sito web ufficiale (in lingua inglese e in spagnolo) https://www.isabelallende.com

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