La mente ha degli strani meccanismi di associazione degli eventi.
Nella mia memoria il Cile ha il volto sorridente di un esiliato conosciuto durante una vacanza in Croazia con la mia famiglia nel 1999. Non ricordo il suo nome, ma ricordo mio padre che mi racconta la sua storia: si era dovuto trasferire in Europa perché, giovane studente di sinistra, non poteva rischiare la vita nel suo paese d’origine.
A quattordici anni però ancora non conoscevo la travagliata storia contemporanea del Cile e di tanti altri paesi dell’America Latina. Non conoscevo ancora Perón, Batista e Fidel Casto, Allende e Pinochet.
La storia del golpe di Pinochet, in particolare, l’avrei conosciuta qualche anno più tardi, attraverso gli studi superiori e soprattutto dai libri di Isabel Allende (1942). Avrei letto ne La casa degli Spiriti la descrizione del primo tragico 11 settembre della storia contemporanea, quello del 1973, del Palacio de La Moneda che brucia sotto i bombardamenti dell’esercito, della repressione, delle sevizie ai dissidenti, dei desaparecidos. La dittatura ha a disposizione un intero vocabolario.
Diversi autori hanno trattato il tema del golpe in Cile, anche Luis Sepulveda (1949) ne Il Generale e il Giudice, ma Isabel Allende è indubbiamente la voce più nota, anche data la sua parentela con il presidente Salvador Allende, caduto proprio durante il golpe, forse suicidatosi proprio durante l’attacco al palazzo presidenziale.
Oggi, dopo il libro di Marcela Serrano (1951) Il giardino di Amelia (La Novena), conosco anche un’altra triste realtà che era all’ordine del giorno durante gli anni della dittatura cilena. Il confino.
Una storia che abbraccia , attraverso gli occhi dei protagonisti, gli ultimi trent’anni la storia del Cile.
Il libro si apre con il protagonista, il giovane Miguel Flores, che, sospettato di svolgere attività contro il regime, viene mandato al confino in una piccolo paese ad un’ora e mezza da Santiago, senza mezzi di comunicazione con il resto del mondo.
In questa sua nuova condizione di esiliato, Miguel trova protezione ed amicizia in una ricca vedova, Amelia, proprietaria della tenuta La Novena. Una donna dai modi diretti, anticonvenzionali che lo protegge, si prende cura di lui, lo fa riflettere sul mondo, sul potere della memoria, sulla vita e soprattutto lo avvicina al mondo dei libri.
“Mi piace tirar tardi, ma soprattutto con i miei libri […] Sapessi quante vite vivo! Se non leggessi, dovrei farmi bastare la mia vita e per quanto divertente possa essere, è sempre e soltanto una. Troppo poco per me.”
Tra i due nasce una forte complicità che sfocia in un’intimità che si intuisce, benché non mai esplicitamente descritta. Un rapporto che sembra sincero, fino a quando Amelia viene arrestata e torturata con l’accusa di aver favorito un dissidente. Miquel non è lì con lei per difenderla e renderle il favore: fugge in Inghilterra e riesce a rifarsi una vita, ancorché divorato dal senso di colpa. Devono passare vent’anni prima che l’uomo riesca a tornare nel suo paese, per cercare quello che è rimasto della Novena e di Amelia. Ma vent’anni non sono forse troppi?
In tutto il romanzo, la dittatura fa da sfondo alle vicende dei protagonisti, e raramente viene descritta nelle sue peggiori manifestazioni, in questo Marcela Serrano si conferma un’autrice delicata e accessibile a tutti. Il giardino di Amelia guida il lettore in un percorso a ritroso, dal 2005 al 1985, compiuto dal protagonista per fare pace con il suo passato, per affrontare il senso di colpa dell’aver abbandonato la donna che lo aveva salvato, nel corpo e nello spirito.
Paola Cavioni