Febbraio fra nuove uscite, classici e vecchie conoscenze

febbraio

Chiuso il primo capitolo dell’anno, il mese di gennaio è passato in un lampo, portando il primo vero freddo di questo inverno. Febbraio ha bussato alla mia porta con pioggia e nebbia a pieno carico (sventure di pianura). Sicuramente un clima che ben concilia la lettura.

Continuano i propositi per raggiungere il traguardo del 2017: 60 libri in un anno (ricordo che ho fatto mia la sfida del bellissimo blog L’angolo dei libri).

Per questo mese ho scelto autori a me già noti. Leggere il libro di un autore già conosciuto è come un incontro con vecchio amico: sai già cosa aspettarti ma non smetti di volergli bene. E di solito se continui a volergliene, è perché non ti delude mai.

La prima scelta di febbraio cade su Daniel Pennac (1944), aria fresca dopo l’impegnativa lettura di Cecità. Di recente ho letto anche il suo Come un romanzo, apologia della lettura, un libretto snello ma denso, sicuramente una bibbia per ogni divoratore di libri.

 “L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire.”

Daniel Pennac, Come un Romanzo

Nel suo Diario di scuola, Pennac (nato Pennacchioni) ripercorre la sua biografia di allievo problematico (un vero e proprio somaro, come lui stesso si definisce) e i passi che lo hanno portato dall’odiare la scuola e l’intero sistema scolastico (soffriva di disortografia, un disturbo nella scrittura a causa del quale non si riesce a trasferire correttamente il linguaggio dal parlato allo scritto) a diventare lui stesso un docente appassionato, un pedagogista, oltre che il romanziere che tutto il mondo conosce. Questo grazie a quei professori che in lui non hanno visto solo un caso perso, ma hanno saputo indirizzarlo verso la sua vera passione e verso la consapevolezza delle sue possibilità.

Un libro su come rapportarsi con bambini e ragazzi che hanno problemi di apprendimento, sul metodo ma anche sulla sofferenza cucita addosso a chi non riesce a stare al passo con i tempi e i contenuti della scuola, che spesso non riescono a dare spazio alle vere passioni degli studenti per coltivarle in una direzione positiva e vincente. Questo per ricordare agli insegnanti che non hanno di fronte solo dei bambini problematici, ma dei futuri adulti che hanno il diritto alla speranza di un futuro da non-somari.

Un libro che parla anche del tempo che, inesorabilmente, passa per tutti, e si porta con sé i successi come gli insuccessi scolastici.

“E non crediate che questi destini debbano qualcosa alla vostra influenza di insegnante!”

Sempre sul tema del tempo e della lettura, così importante per Pennac, per questo mese ho scelto il classico Il piacere della lettura, di Marcel Proust (1871-1922). Proust è nei miei ricordi della scuola superiore, delle lezioni di letteratura francese e dell’esame di maturità.

Nella famigerata tesina d’esame, sul tema della memoria, avevo portato la sua opera più famosa: À la recherche du temps perdu – Alla ricerca del tempo perduto. Sento ancora oggi il profumo della sua madeleine.

La terza scelta di questo mese è il libro, uscito a fine ottobre del 2016 (subito acquistato ma lasciato a decantare qualche mese) L’arte di essere fragili – come Leopardi può salvarti la vita. 

Libro scritto da un altro docente, Alessandro D’Avenia, che può essere considerato a suo modo un libro pedagogico, dato che vuole allenarci, in tutte le fasi della nostra vita, a ricercare la vera felicità nelle parole di un autore cui tutto si associa tranne il concetto di felicità.

Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?

Leopardi, A Silvia

Per i più curiosi, D’Avenia ha anche un blog personale: http://www.profduepuntozero.it.

Mi piace lo stile di questo autore, che parla con un linguaggio adatto ai giovani ma senza mai essere scontato. Sono curiosa di scoprire come è stato in grado di associare il concetto di felicità all’opera di Leopardi.

Aggiungo alla lista di febbraio una nuova uscita, Il giardino di Amelia, edito da Feltrinellidi Marcela Serrano, per nutrire la mia passione per la letteratura femminile sudamericana. Una storia di amicizia e amore ambientata negli anni ’80 nel Cile di Pinochet.

L’ultimo libro scelto per il mese di febbraio è un libro che ho acquistato diverso tempo fa e che, per vari motivi, non ho mai letto: La donna dei fiori di carta di Donato Carrisi, uscito nel 2012.

Conosco bene i thriller di Carrisi, avendoli letti praticamente tutti (Il suggeritore, Il tribunale della anime, L’ipotesi del male, Il cacciatore del buio e l’ultimo uscito Il maestro delle ombre, l’unico che non ho ancora avuto modo di leggere) . Personalmente trovo che non abbia niente a che invidiare da autori bestseller come Dan Brown o Wilbur Smih. Questo romanzo si discosta dal ciclo noir che ha reso famoso Carrisi perché di ambientazione storica. I fatti narrati infatti, le vite di due uomini in apparenza nemici, si svolgono nel 1912, anno dell’affondamento del Titanic e a pochi anni dallo scoppio della prima guerra mondiale.

Queste le scelte per il mese più corto dell’anno perché, come dice il caro amico Pennac: il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.

Paola Cavioni

ps: un ringraziamento speciale a mia figlia Gaia per aver fatto da modella nella fotografia dei libri di questo mese.

Ciao amore ciao (27 gennaio 1967)

Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero

quando a te la sua anima

e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.

Quando attraverserà
l’ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch’io
perché non c’è l’inferno
nel mondo del buon Dio.

Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.

Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza
preferirono la morte.

Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l’inferno esiste solo
per chi ne ha paura.

Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.

Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.

Queste le parole che Fabrizio De André dedica all’amico Luigi Tenco nella canzone Preghiera in gennaio, scritta appena dopo il suo funerale.

La storia è nota, Tenco si suicida dopo una serata del Festival di Sanremo, fra il 26 e il 27 gennaio 1967, lasciando costernati ed increduli gli altri musicisti presenti alla kermesse musicale e sopratutto l’amica (amante?) Dalida, fra le prime ad accorrere nella stanza  dove si trovava il corpo del cantautore. Inutile ricordare che la canzone portata al Festival da Tenco era la ben nota Ciao Amore Ciao.

Gesto estremo di un depresso oppure gesto di estrema coerenza rispetto al valore dato al proprio lavoro  e alla propria dignità di musicista? Penso che nessuno potrà mai dare risposta a questa domanda.

Mi piace ricordare la storia di questo artista malinconico e sfortunato con la canzone di De André. Un testo di non facile comprensione ma ricco di immagini poetiche e di misericordia, che si potrebbe definire cristiana se De André non fosse stato dichiaratamente ateo.

In un momento storico nel quale la Chiesa Cattolica ancora condannava fortemente il suicidio come atto contro Dio, Faber si scaglia contro i veri carnefici (“signori benpensanti”) e descrive l’arrivo di Tenco in Paradiso. Dio lo accoglie fra le sue braccia, insieme agli altri morti suicidi, e lo bacia come farebbe un padre. Il terzo girone dantesco non potrebbe essere più lontano da questa immagine di misericordia, di amore e di speranza di redenzione.

Meravigliosa è la chiusura, un  quadro espresso in musica. E me lo immagino davvero Tenco, che avrà 29 anni per sempre, che ancora canta nel vento Ragazzo mio o Un giorno dopo l’altro.

 

“Guardare ogni giorno se piove o c’e’ il sole, per saper se domani si vive o si muore e un bel giorno dire basta e andare via … Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao”

 

 

Provando a leggere di venerdì sera.. 

“Gli scettici della natura umana, che sono molti e ostinati, sostengono che se è vero che l’occasione non sempre fa l’uomo ladro, é anche vero che lo aiuta molto”

Da Cecità di J. Saramago 
Caro José, sono d’accordo con te. 

Anche se ho sempre pensato che l’occasione non faccia l’uomo ladro, semplicemente lo fa uomo, quale è. 

Un groviglio di carne e sentimenti, che raramente sa resistere alle tentazioni. Suvvia, siamo su questa Terra una volta soltanto. 

Happy Birthday Cavern Club!

There is a place
Where I can go
When I feel low
When I feel blue
And it’s my mind
And there’s no time when I’m alone

There’s A Place (Lennon-McCartney), dall’album Please Please Me

Quello che Picasso ha rappresentato per le arti visive, i Beatles lo hanno rappresentato per la musica.

Oggi ricorre il compleanno di un luogo che molto ha a che fare con la storia della band inglese che ha rivoluzionato i canoni della musica del suo tempo e impresso un’impronta indelebile nella musica a livello mondiale.

Esattamente 60 anni fa a Liverpool, al numero 10 di St. Mathew Street, veniva inaugurato il Cavern Club, il mitico locale che all’inizio degli anni ’60 ha visto la nascita del fama dei Beatles, ancora prima dell’arrivo di Ringo Starr. Si potrebbe definire il luogo da cui tutti è partito.

Anche se del locale originale ormai rimane ben poco, il mito rimane immutato.

I’m glad it’s your birthday, Cavern!

beatles-cavern-1961

Follia in gennaio

“Per quanto mi riguarda, gennaio e febbraio non sono che un aperitivo al piatto forte del calendario, da marzo in poi, quando puoi finalmente portare il cane a passeggio con addosso soltanto un gilet imbottito. E’ allora che formulo i miei buoni propositi per l’anno nuovo…”

Elisabeth Egan, La felicità è una pagina bianca

Per me la felicità non è una pagina bianca. E’ una pagina piena di lettere, è così da sempre.

La felicità è il profumo di un libro nuovo. E’ accarezzare le pagine di un romanzo appartenuto ai tuoi nonni. E’ vedere tutte in fila le copertine del tuo autore preferito, in ordine nello scaffale della tua camera da letto. E’ scoprire un nuovo scrittore e pensare “come ho fatto a vivere fino ad ora senza di lui???”.

Il Natale appena passato è stato diverso dai soliti. Per la prima volta dopo tanti anni nessuno ha pensato di regalarmi un libro. Ci sono rimasta male come una bambina cui tolgono la testa alla sua Barbie del cuore, come quando ti cade l’ultimo pezzo di ghiacciolo, come quando cancellano la tua serie preferita prima che tu veda come va a finire.

Nonostante questo non mi sono persa d’animo e, dopo una sana scappatella in libreria, l’anno è iniziato insieme a tutti i suoi buoni propositi.

Per questo 2017 raccolgo la provocazione di una blogger che seguo con molto interesse (e ammirazione!), Beatrice Borini de L’angolo dei libri.

La provocazione? Leggere 60 libri in un anno. Per quanto io ci capisca ben poco di matematica, questo vuol dire 5 al mese, quindi almeno uno a settimana. Scary.

La sfida è ardua, direi quasi epocale (o da folli) per chi, come me, ha un marito, una figlia, un cane e soprattutto un lavoro a tempo pieno. E una giornata che, per quando io mi sforzi, continua a rimanere sempre di 24 ore. Ma se non siamo matti non ci piacciamo, quindi ci proviamo. E se non dovessi riuscirci, soccomberò combattendo (smile).

Per il mese di gennaio sono al libro numero 3 di questo elenco:

  • I baci non sono mai troppi di Raquel Martos;
  • Il Giovane Holden di J.D. Salinger
  • La felicità è una pagina bianca di Elisabeth Egan
  • Le dee dentro la donna di Jean S. Bolen
  • Cecità di José Saramago

Ammetto che c’è un pò di tutto, in linea con i miei gusti onnivori in fatto di letteratura. Dalla narrativa “leggera” contemporanea, ai classici moderni, alla psicologia femminile (ho di recente scoperto che l’archetipo femminile cui tendo è quello di Atena, ve ne parlerò. Nel frattempo, grazie Jean Bolen per il momento di autoconsapevolezza).

Grazie anche alla compagnia di questi libri, è stato un inizio di anno interessante, spero solo di riuscire a mantenere il ritmo, eliminando tutto ciò che è per me superfluo e che alla fine non mi fa stare bene.

E voi?

Avete già letto qualcuno di questi libri?

Avete qualche proposito interessante per questo anno nuovo?

A parte quello, si sa, di non fare buoni propositi.

5-di-gennaio

 

 

 

Work in progress …

“A partire dagli scultori greci, non è mai esistita una generazione di artisti

così umilmente e interamente intenta alla esaltazione della bellezza”

 

Algernon Swinburne

 

dante-gabriel-rossetti-proserpina

Mantova, in poche righe

Ogni volta che mi capita di visitare una città d’arte italiana non posso fare a meno di pensare a quanto io sia fortunata, da amante profana dell’arte quale sono, a vivere proprio in Italia, nonostante i ben noti problemi che il bel paese ha, soprattutto di questi tempi.

In questa domenica, che finalmente porta con sé un po’ di autunno, ho potuto visitare la “Capitale italiana della cultura 2016”: Mantova, una città crocevia di ben tre regioni: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.

Certo, visitare in poche ore una città così ricca di opere d’arte con una bambina di cinque anni che, nella sua innocente esuberanza, finge di fare la caccia al tesoro nelle stanze di Palazzo Ducale, è una esperienza impegnativa paragonabile a una mezza maratona.

Ma, nonostante questo, torno a casa con una piacevole sensazione di pienezza (e non parlo solo di quella “fisica” dovuta ad un ottimo pranzo domenicale a base di cucina tipica mantovana). E’ la pienezza di chi si è riempito gli occhi e l’anima di tanta immensa bellezza, la stessa che si prova dopo aver visto una qualsiasi opera di Giotto o Michelangelo.

Oggi per me Mantova ha il viso dolce di una ragazza con i capelli scuri e la treccia che, seduta in un angolo della maestosa basilica rinascimentale di Sant’Andrea, ne copia le magnifiche architetture interne, disegnandole a penna su un blocco da disegno.

Mantova ha i colore azzurro del cielo nella Camera picta nel Castello di San Giorgio, regalo dei Gonzaga e del Mantegna a tutta l’umanità (e quindi anche a me).

Mantova ha il profumo del vento che accompagna lo scorrere del Mincio che protegge e culla la città.

Mantova ti porta nelle orecchie il suono delle battaglie che l’hanno resa non solo grande, ma anche capitale rinascimentale, che ancora brilla per la magnificenze del Palazzo Ducale, città nella città seconda per dimensione, in Italia, solo al Vaticano.

Mantova ha il rispettoso silenzio dovuto ai Martiri di Belfiore, primi patrioti italiani.

Mantova ha il sapore dolce del lambrusco, ma è forte come i sassi delle sue strade.

Mantova ha il nome di Virgilio, dei Gonzaga, dell’Alberti e di Mantegna, di Pisanello e di Giulio Romano, di Matilde di Canossa.

Insomma, Mantova in queste poche ore mi ha mostrato mille volti, mi ha affascinato e incuriosito. Già so che ci dovrò tornare.

Genitori

È proprio vero che niente ti prepara ad essere genitore. 

Non sei pronto quando lo aspetti e neanche quando nasce, tuo figlio. 

Quando non capisci perché piange, se sta male, se ha fame. Non sei pronto a sentire il profumo della sua pelle, ben sapendo che dal momento stesso in cui lo sentirai per la prima volta non potrai più farne a meno. 

Tuo figlio.

Non sei pronto alle notti senza sonno dove conti le ore dal divano di casa, una coperta sulle spalle e un dolce peso fra le braccia. Non sei pronto a tutta la profondità dei suoi occhi, non sei pronto a leggerci tutto quel futuro che non conoscevi.

Tuo figlio. 

Non sei pronto a vederlo spegnere la sua prima candelina, quando ti chiedi se solo ora il tempo si è messo a correre così velocemente. 

Tuo figlio.
Non sei e non sarai mai pronto ad affrontare le sue paure, e le sue giornate piene di “perché?”, che sono stati anche i tuoi. 
Non sarai mai pronto a vincere  le tue stanchezza, nelle lunghe sere dopo lunghe giornate in cui devi cercare dentro di te la forza per sorridere ancora, per dare ancora una carezza, un abbraccio per farlo addormentare.
Nessuno ti prepara alla consapevolezza che ci vuole una fiducia estrema per addormentarsi fra le braccia di qualcuno. 
Nessuno ti prepara al fatto che non sempre l’importante è essere pronti. Certe volte e’ sufficiente essere solamente genitori. 

Sogno

angeli-custodi

 

“Ci penso da lontano da un altro mare un’altra casa che non sai
La chiamano speranza ma a volte è un modo per dire illusione
Ci penso da lontano e ogni volta è come avvicinarti un po’
Per chi ha l’ anima tagliata l’amore è sangue, futuro e coraggio
A volte sogni di navigare su campi di grano
E nei ritorni quella bellezza resta in una mano
E adesso che non rispondi fa più rumore nel silenzio il tuo pensiero
E tu da li mi sentirai se grido”

 

Questa notte ti ho sognato. Ed è strano svegliarsi poi al mattino consapevole che non ci sei, con tutto il peso del vuoto che hai lasciato da oltre sette anni, fratellone.

Ti ho sognato mentre compivi un gesto semplice quanto intimo. Chinato, nel tuo giubbotto marrone di sempre, allacciavi una scarpa a Gaia. Lei seduta su una sedia, di profilo, in controluce.

Ti parlava, non so cosa vi siate detti. Anche se il sogno era il mio, sento che c’è un legame speciale fra voi due, che neanche vi siete conosciuti.

Anche tu nei miei sogni sei sempre in controluce. O forse sei tu che sei luce.

Chissà che zio saresti stato, quale tipo di affetto avresti provato per la tua prima nipotina che ha i tuoi stessi colori. Pelle chiara e capelli biondi. Chissà se avresti provato un coinvolgimento più fisico, fatto di abbracci e carezze, o uno più mentale, da zio orgoglioso.

Lei è ancora troppo piccola per capire veramente , ma forse anche io ero troppo piccola con i miei 23 anni, quando te ne sei andato, portandoti via un bel po’ della mia spensieratezza dei vent’anni.

Però è bello sapere che ci sono dei luoghi tutti nostri dove ti trovo sempre. Nei sogni, dove sei sempre il benvenuto. Nella musica. Nei tuoi libri.

Grazie per la visita di questa notte.

Torna a trovarmi quando vuoi.

 

 

Cose che (non) dimentico

“Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento, Dio di misericordia vedrai sarai contento”

 

21.48 dell’11 gennaio 2016.

Finalmente mi fermo in questa giornata triste per il mondo della musica. Oggi però nonostante la notizia della scomparsa di David Bowie, il mio pensiero va a Fabrizio de André, il mio cantautore preferito. La voce con cui sono cresciuta, pensando a Geordie come alla mia prima ninna nanna. E Fabrizio.

Fabrizio con la sua chitarra classica.

Fabrizio con la sigaretta.

Fabrizio con le sue poesie.

Fabrizio con Dori.

Sono passati con oggi 17 anni da quando Faber ha lasciato questo mondo, quando aveva solo 58 anni. Siamo quasi diventati maggiorenni senza di lui, in tutto questo tempo.

Eppure, sembra scontato, ma anche se ci ha lasciati orfani, le sue canzoni non invecchiano mai perché sono nate per essere senza età, senza una collocazione temporale precisa. Non credo che sia necessario ripercorrere la sua biografia,  le librerie e il web sono piene di qualsiasi tipo di informazione sulla sua vita e la sua musica.

Ma quello che lui ha lasciato in ognuno di noi non si può descrivere. Lui che ci ha emozionato, che ci ha insegnato a navigare in direzione ostinata e contraria. Che con le sue canzoni ci ha fatto innamorare, arrabbiare, riflettere e piangere.

Lui che comunque ci ha fatto il dono più bello per quanto, a mio avviso, poco compreso: suo figlio Cristiano, che incarna tutta la sensibilità che aveva anche il padre. Un’anima fragile dentro una corazza ruvida da vita sregolata.

E oggi voglio pensare anche a Cristiano che strimpella con la sua chitarra, pensando a suo padre. Perché per tutti noi era Faber, ma per lui era solo papà.

Per quanto tempo ti penserò

 in quelle notti a Genova

giù lungo il porto, dentro quei bar

sogni cambiati in spiccioli

quale destino mai ci fermerà

quale assassino senza nome

ci sentivamo invincibili

ci sentivamo così

Storie migliori non sentirò di quelle notti a Genova

bevevi troppo, fumavi un po’

perso nella tua musica

quale silenzio ci confonderà

quale invisibile padrone

ci sentivamo invincibili

ci sentivamo così

Chi ci ha tenuto lontani

chi ci ha cambiato non so

come le macchine che vanno via

ombre e stagioni così

chi ci ha piegato le mani

chi ci ha tradito non so

ora che queste nuvole spazzano via

i miei ricordi così

Quale destino mai ci fermerà

quale assassino senza nome

ci sentivamo invincibili

ci sentivamo così

fabrizio de andre