Ricordi di febbraio

Ci ho fatto caso, da un po’ in realtà.

Ogni giorno quando torno dal lavoro e scendo dal treno, e dalla confusione della carrozza arrivo al silenzio della campagna, nella stessa stazione scende anche una donna, che non conosco.

A occhio e croce ha fra i 50 e i 60 anni, non più una ragazzina insomma, o almeno, non nel fisico (magari nello spirito).

Scende con la borsa da lavoro e il suo sorriso, perché ogni giorno al binario la aspetta il suo uomo, seduto su una panchina semplicemente ad aspettare.

Non l’ho mai visto aspettare davanti al cellulare, lui aspetta proprio LEI, come atto consapevole.

Come se fosse il momento più bello di tutta la giornata.

Si salutano, si scambiano un bacio, poi lui prende la borsa di lei sulla spalla e si incamminano sempre tenendosi la mano.

Tutti i giorni, col sole, con la pioggia e con la nebbia.

Oggi finalmente, dopo più di un anno che li vedo, ho messo insieme i puntini.

E ho capito.

Ho capito che l’amore è quella roba lì.

Paola Cavioni, febbraio 2024

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Kent Haruf e le storie dalla terra

“We got one last chance to make it real
To trade in these wings on some wheels
Climb in back
Heaven’s waiting on down the tracks
Oh oh come take my hand
Riding out tonight to case the promised land”

(Abbiamo un’ultima possibilità per farli avverare [i sogni], per scambiare con delle buone ruote le nostre ali. Salta su, il Paradiso ci aspetta lungo il percorso. Dai, prendi la mia mano, stanotte cercheremo di raggiungere la terra promessa)

Thunder Road, Bruce Springsteen

Se c’è un autore che ho scoperto e che ha caratterizzato tutto il mio 2021 con un amore a prima lettura è sicuramente è Kent Haruf. A lui dedico questo lungo post, alla fine del quale trovate gli incipit dei suoi romanzi, che vi invito a leggere perché sono sicura che non rimarrete delusi.

Tutti i libri di Kent Haruf sono pubblicati in Italia da NN Editore

Alan Kent Haruf nasce nel 1943 a Pueblo, città nel sud del Colorado, sul fiume Arkansas.

La vita qui non deve essere facile. Non è il sogno americano quello che si vive fuori dalle grandi metropoli. È una vita fatta di fatica, violenza, solitudine, soprusi, conflitti, infanzia violata nel corpo e nello spirito. Un mondo intero di luci e ombre che entra nei libri di Haruf, rinascendo sotto le mentite spoglie di Holt. Città che sulla carta del Colorado non troverete mai ma che esiste, vera e prepotente, nella testa del suo inventore, talmente chiara che se ne riesce perfino a disegnare la geografia.

La trovate, è alla fine di Le nostre anime di notte (Our Souls At Night), provate a cercarla.

Kent è figlio di un pastore e di una insegnante, si laurea alla Nebraska Wesleyan University e si forma leggendo William Faulkner e Ernest Hemingway.

Come molti altri autori, anche suoi contemporanei, prima di riuscire a mantenersi con la sola attività di scrittore svolge molti altri lavori: insegnante, bracciante, bibliotecario.

Ma la sua strada è la scrittura e lotta a lungo per realizzare questa vocazione.

Pubblica i primi racconti all’inizio degli anni ’80; il primo romanzo, Vincoli (The Tie That Binds) è del 1984.

Per uno strano scherzo del destino, la sua consacrazione e il riconoscimento da parte della critica arrivano solo nel 1999 con Canto della pianura (Plainsong). Haruf ha 56 anni.

Muore nel 2014 a Salida, cittadina poco distante da Pueblo, tornato a vivere in Colorado dopo una vita trascorsa in giro per gli Stati Uniti e dieci anni in Illinois. Coincidenza, sceglie di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nel posto a cui apparteneva, proprio come il titolo (in originale) di La strada di casa: Where You Once Belonged.

Ci ha lasciato in eredità sei meravigliosi romanzi, tutti scritti dopo i quarant’anni, tutte opere mature, profonde, strazianti e bellissime allo stesso tempo.

La scrittura di Haruf è piana, semplice e terribilmente aderente alla realtà, cadenzata da dialoghi in discorso diretto libero, senza marcatori di punteggiatura, tecnica difficilissima da padroneggiare e usata tra l’altro da pochi altri grandi autori come Josè Saramago, in forma ancora più estrema, e Cormac McCarthy.  

Nel suo primo romanzo, Vincoli, sono già presenti tanti dei temi che, quasi come un’ossessione, ritornano nelle opere di Haruf: la voce narrante in terza persona, l’attaccamento alla terra e alla fatica del lavoro nei campi, la presentazione dell’infanzia come momento della vita che non è esente dal dolore e dalla morte, la sofferenza nell’esistenza, amanti che il destino avverso separa, la violenza della società che si incarna, in ogni libro, in un personaggio.

Ma anche temi positivi come la ricerca del riscatto sociale, l’amore come possibile redenzione, che rende la vita degna di essere vissuta, a prescindere dall’età, l’onore, la compassione. C’è poi la Storia, che fa da cornice agli eventi ma resta sempre sullo sfondo, perché tutte le storie di Kent Haruf sono senza tempo.

E poi ancora l’intreccio tutto particolare che riesce a creare nei suoi romanzi, che non hanno praticamente mai un solo protagonista, ma tante piccole storie, ognuna con un proprio sviluppo e un proprio arco di trasformazione, che a volte si intreccia alle altre storie, o a una sola di esse, solo alla fine del romanzo. In ogni libro inoltre ci sono piccoli rimandi agli altri, come se Haruf si fosse divertito a giocare con lettore che deve riuscire a riconoscere il dettaglio, il particolare che rimanda a un altro dei romanzi di Haruf, sempre dentro al micro cosmo di Holt.

E il legame con la terra, la sua terra, il Colorado che è tutto lì fra le case, le vie, i campi e i sassi di Holt.

Buona lettura.

Vincoli. Le origini di Holt (The Tie That Binds)

Prima edizione 1984

“Edith Goodnough non vive più in campagna. Ormai sta in città, in ospedale, in quel letto bianco, con un ago infilato nel dorso della mano e un uomo che la sorveglia in corridoio, fuori dalla sua stanza. Questa settimana compie ottant’anni: una donna linda, bella, con i capelli bianchi, che in vita sua non è mai arrivata a pesare cinquanta chili e che da Capodanno ne pesa ancora meno di così.”

Libro che si apre come un giallo, con un omicidio, ma si rivela un’epopea storica che ci porta in un viaggio dalla fine del XIX alla metà degli anni ’70, in un’America in continua evoluzione, che però nel mondo chiuso di Holt sembra rimanere sempre uguale e se stessa.

Un cerchio che inizia e si chiude nel 1977.

La strada di casa (Where You Once Belonged)

Prima edizione 1990

“Alla fine Jack Burdette tornò a Holt. Nessuno di noi se l’aspettava più. Erano otto anni che se n’era andato e per tutto quel tempo nessuno aveva saputo niente di lui. Persino la polizia aveva smesso di cercarlo. Avevano ricostruito i suoi movimenti fino alla California, ma dopo il suo arrivo a Los Angeles se l’erano perso e a un certo punto avevano rinunciato.”

Il libro che più ho amato, il primo che ho letto e il più poetico fra i libri di Haruf*.

Trilogia della pianura

Benedizione (Benediction) – I libro

Prima edizione 2013

“Appena gli esiti dell’esame furono pronti, l’infermiere li chiamò nell’ambulatorio, e quando il medico entrò nella stanza diede un’occhiata e li invitò a sedersi. Capirono come stavano le cose guardandolo in faccia.”

Il più intimo fra i libri della trilogia, per il tema che tratta: il rapporto con noi stessi davanti alla vita che finisce. Cosa succede dei nostri rimpianti, dei fallimenti e delle occasioni perse per sempre?

Canto della pianura (Plainsong) – II libro

Prima edizione 1999

“A Holt c’ere quest’uomo, Tom Guthrie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno. Quando il sole ebbe raggiunto la sommità del mulino a vento, l’uomo rimase a guardare la luce che si faceva sempre più rossa sulle alette di acciaio e sulla coda, alte sulla piattaforma in legno.”

Lente di ingrandimento puntata in questo caso sull’inizio della vita, sul suo sbocciare a dispetto delle avversità del mondo.

Crepuscolo (Eventide) – III libro

Prima edizione 2004

“Tornarono dalla scuderia nella luce obliqua del primo mattino. I fratelli McPheron, Harold e Raymond. Vecchi che si avvicinavano a una vecchia casa alla fine dell’estate. Attraversarono il vialetto sterrato, superarono il furgone e l’automobile parcheggiata accanto alla recinzione in rete metallica e varcarono il cancello l’uno dopo l’altro.”

In Crepuscolo ritroviamo alcuni dei protagonisti di Canto della Pianura, nel più malinconico dei libri della trilogia. Preparate i fazzoletti.

Le nostre anime di notte (Our Souls at Night)

Prima edizione 2015

“E poi ci fu il giorno in cui Addie Moore fece una telefonata a Louis Water. Era una sera di maggio, appena prima che facesse buio.

Vivevano a un isolato di distanza da Cedar Street, nella parte più vecchia della città, olmi e bagolari e solo un acero cresciuti sul ciglio della strada e prati verdi che si stendevano sul marciapiede fino alle case a due piani.”

Opera con cui Haruf si congeda dalla letteratura, e in fondo dalla vita. Una storia romantica e anticonvenzionale, su un argomento che spesso è ancora considerato un tabù: l’amore fra due persone anziane. Nel 2017 ne è stato tratto un bellissimo film omonimo, con Robert Redford e Jane Fonda.

Tutti i libri di Kent Haruf sono tradotti in italiano da Fabio Cremonesi, puoi acquistarli anche su Amazon cliccando sul titolo del libro in neretto e sottolineato.

Visita il sito web della casa editrice su www.nneditore.it

Paola Cavioni

14 dicembre 2021

*Puoi leggere la recensione del libro, già pubblicata su Righe di Arte, a questo link:

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Le piccole libertà di Lorenza Gentile

“La libertà personale è inviolabile”

(Articolo 13 della Costituzione Italiana)

In questi giorni avevo voglia di sognare, di leggere una bella storia, qualcosa di nuovo e scritto bene.

Ho scelto di farlo lasciandomi guidare dalle parole di Lorenza Gentile, che con il suo ultimo romanzo Le piccole libertà, edito da Feltrinelli nel 2021, mi ha trasportato in viaggio fino a una Parigi primaverile e incantevole.

In Le piccole libertà è Oliva (proprio così, Oliva e non Olivia) che parla al lettore e racconta la sua storia.

È il 2011, Oliva ha trent’anni e un’insolita passione per le frasi contenute biscotti della fortuna, due genitori che le vogliono bene ma hanno il brutto vizio di vederla ancora come una bambina e da sempre troppo apprensivi a causa della perdita del loro primo figlio, ha un lavoro precario in una multinazionale, è fidanzata con Bernardo, avvocato dal futuro brillante con il quale sta per sposarsi per poi trasferirsi nella villetta a due piani che stanno arredando in vista del matrimonio.

Una vita normale, che cerca di riempire con la ricerca di quella che per la società, per la maggior parte delle persone, è considerata la “felicità”: lavoro a tempo indeterminato, marito di successo al suo fianco, vita tranquilla e sicura, dei bambini da crescere, un cane e i week end in Liguria.

Ma allora perché di notte Oliva non riesce a dormire, soffre di tachicardia, si sente costantemente fuori posto in quel mondo dall’apparente perfezione che si sta costruendo con più fatica di quella che dovrebbe essere?

Perché si sente così vuota, stanca e costantemente inadatta?

Cosa la fa sentire in prigione e non padrona delle sue scelte?

Perché sente il bisogno di parlare dei suoi sogni e delle sue paure con una psicologa invece di urlare al mondo che vorrebbe fare l’attrice, che quando nessuna la vede imita la scena finale di Via Col Vento, e che ai numeri e alla analisi di mercato preferisce preparare rimanere in cucina a preparare dolci?

Poi, come un fulmine a ciel sereno in un giorno come un altro, una lettera la esorta a lasciare tutto e a partire per Parigi. Solo per due giorni, sembrerebbe, e ad aspettarla c’è una persona uscita dal suo passato: la zia Vivienne, sorella di suo padre, con la quale non ha rapporti da oltre 15 anni.

La zia Vivienne che fa parte di tutti i suoi ricordi più felici di bambina, che profuma di incenso e di mandorla dei macarons, anima bohémienne, l’unica che l’abbia sempre spronata ad inseguire la sua felicità e a essere davvero libera, come lo è lei.

Perché la sta invitando proprio ora, davanti alla celebre libreria Shakespeare and Company?

La Shakespeare and Company, luogo d’incontro d’intellettuali e artisti di fama internazionale, ma anche rifugio per molti giovani che qua possono rimanere come se fosse un ostello, dando in cambio qualche ora di lavoro in libreria.

“Ci sono piccole libertà che ci cambiano per sempre.

Perché tante piccole libertà ne fanno una grande.”

Oliva affronta la paura e le obiezioni di genitori e fidanzato, che la vorrebbero tenere al sicuro vicino a loro e parte, moderna Dorothy verso la sua misteriosa Oz.

Ancora non sa che il viaggio a Parigi sarà un’avventura alla scoperta del suo vero io, uno scontro frontale con una nuova realtà fatta di amicizie che diventano famiglia, di sogni che sembrano fragili e irraggiungibili ma senza i quali forse non vale neanche la pena di vivere, di materassi stesi sul pavimento della libreria, di autostop e lunghe camminate lungo i boulevard e la Senna.

Alla scoperta del segreto più grande che riguarda la sua famiglia e che solo la zia Vivienne sembra volerle rivelare…

Le piccole libertà è un libro che senti sulla pelle, pieno d’amore per la meravigliosa città che le fa da cornice, Parigi; un libro fresco ma pieno di moltissime riflessioni profonde sul senso dell’esistenza e di come sia facile, lungo la strada, perdere la rotta della felicità o credere al modello che ci viene imposto, anche in buona fede, dalla nostra famiglia.

Le piccole libertà è un libro che parla della e alla generazione dei trentenni di oggi, costantemente divisa fra la ricerca di una realizzazione che non sembra mai arrivare, tra confronto che vede da un lato i coetanei che “ce l’hanno fatta”, e dall’altro i genitori che per il troppo amore spesso non lasciano liberi di sperimentare, di sbagliare.

Una generazione che conosco molto bene, perché è la mia, che di Oliva condivido molte paure e fragilità.

È un libro che parla anche ai genitori della mia generazione, con parole che forse non si sono ancora sentiti dire.

Un libro adatto a chi cerca, come ho scritto in apertura, una bella storia che rispecchi e rappresenti il carosello della vita, che quasi mai è lineare e forse proprio per questo vale ogni respiro, ogni caduta e ogni cambio di rotta.

Per ricordarsi che ogni tanto per ritrovarsi bisogna avere prima la forza di lasciarsi andare al vento, come foglie cadute da un ramo.

Bravissima Lorenza, e grazie Oliva per il viaggio.

Paola Cavioni

L’autrice

Lorenza Gentile nasce a Milano nel 1988, cresce fra Firenze e Milano, studia e lavora a Londra e Parigi. Le piccole libertà si ispira proprio alla sua esperienza di lavoro a Parigi nella stessa libreria dove è ambientato il romanzo.

I suoi libri sono tradotti in Spagna, Germania e Corea.

Puoi acquistare il libro anche su Amazon, per andare allo shop clicca QUI.

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Puntare la luce

L’altra sera mentre mettevo a letto i bambini ho osservato la luce della lampada sul comodino.

Mia figlia la stava regolando e continuava a girarla prima verso il basso e poi verso l’alto.

Quando la teneva verso il basso, la timida luce della lampadina riusciva a illuminare solo il piccolo spazio fra il comodino e il letto, lasciando il resto della camera da letto immersa nel buio.

Ma quando la girava verso l’alto, verso il soffitto, quella luce così piccolina poteva liberarsi, rimbalzare sulle pareti e illuminare tutta la stanza.

Penso che sia una bella metafora della nostra vita: dovremmo poter fare esattamente così per vivere al meglio, trovare la posizione giusta dalla quale fare luce più luce possibile.

Se un posto, una persona, un lavoro, una condizione particolare ci fanno rimanere al buio o non ci permettono di brillare con tutti i nostri colori, abbiamo il dovere di cambiare.

Perché alla fine siamo tutti energia, un po’ come il sole; ma a differenza del sole che regala i suoi raggi infiniti indistintamente, noi siamo esseri finiti.

Abbiamo però un grande privilegio: quello di poter cercare lo spazio giusto al quale regalare il nostro calore, la nostra forza.

Alla fine, basta solo capire dove vale la pena di puntare la luce.

4 dicembre 2021

Paola Cavioni

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Quando guardi oltre, tutto è possibile. Righe su “Il vento contro” di Daniele Cassioli

“La missione di ogni uomo consiste nell’essere una forza della natura e non un grumo agitato di guai e di rancori che recrimina perché l’universo non si dedica a renderlo felice.”

(George Bernard Shaw)

Il vento contro (DeAgostini 2018)

La citazione con cui apro questo post invita con decisione a essere forza della natura, a non lamentarsi, a essere artefici della propria felicità. Leggendo fra le righe, è un’esortazione a prendere di petto la vita, a sfruttare potenzialità e talenti, a dare un senso all’agire nel mondo e più in generale alla vita.

Concetti di facile comprensione, ma non sempre facili da mettere in pratica, soprattutto nella società in cui siamo immersi dove così spesso la lamentela diventa uno stile di vita.

Non vi è mai capitato di avere a che fare con persone che apparentemente non sono mai soddisfatte, che cercano la causa della loro insoddisfazione nelle persone e nelle cose che hanno intorno, ma che non fanno nulla per cambiare?

Oggi vi parlo di un libro che incarna perfettamente la massima di Shaw: Il vento contro, che ho letto nei giorni scorsi dopo avere assistito a una formazione aziendale tenuta proprio dal suo autore Daniele Cassioli.

Daniele nasce a Roma 35 anni fa, si laurea in Fisioterapia a pieni voti, ha un diploma di pianoforte al conservatorio, come sportivo detiene un numero altissimo di record nello sci nautico, si occupa di formazione su temi legati alla motivazione, svolge diverse attività nel sociale e attualmente sta scrivendo il suo secondo libro… è perché no, è anche influencer, nel senso più positivo del termine.

Già fino a qua, è tanta roba per una vita sola, per un solo uomo.

Mettiamoci anche, piccolo dettaglio del tutto trascurabile, che Daniele è non vedente dalla nascita, non so se avrei dovuto dirvelo prima.

Serve altro per capire quanto straordinaria possa essere l’esistenza?

In Il vento contro Cassioli parla della sua vita, della sua famiglia, di come i suoi genitori siano stati in grado, dopo una prima comprensibile fase di smarrimento e di ossessiva ricerca di una cura alla retinite pigmentosa con cui Daniele è nato, di fare accettare al loro figlio la sua diversità, che diventa poi unicità, per vivere come tutti i suoi coetanei.

Una fotografia di Daniele, dal sito web http://www.danielecassioli.it

Vivere come gli altri vuol dire impegnarsi nella scuola, tra le non poche difficoltà logistiche della mancanza di libri i braille e programmi scolastici che spesso non sono a misura di non vedente (per usare un eufemismo) uscire con gli amici, essere sgridato come tutti i bambini, e poi crescendo avere delle fidanzate, fare sport.

E qui arriva la vera svolta per Daniele, che nello sport trova un nuovo scopo, la motivazione e lo stimolo per superare ogni giorno i suoi limiti, fino a ottenere risultati assolutamente straordinari.

Certo si può obiettare che lui comunque è fortunato perché nato in una famiglia che ha avuto la possibilità di fargli fare esperienze, di farlo studiare, di portarlo in giro per il mondo, di gestire in modo positivo la sua diversità. Certo.

Ma con quanta facilità Daniele avrebbe potuto “accontentarsi” della sua vita, trovare nel suo essere cieco una giustificazione alla paura, all’inerzia?

Parlo per me, ma in moltissime occasioni mi lascio vincere dalla pigrizia per molto, molto meno. Basta un raffreddore per farmi rimanere un pomeriggio intero sul divano, una pioggerellina per non uscire a correre, una notte insonne per giustificare l’umore storto.

Quanti come me? Siate onesti.

Il titolo Il vento contro è metafora potentissima presa dallo sci nautico che fa capire come gli ostacoli nella vita possano essere considerati muri contro cui scontrarsi e che bloccano il cammino, oppure trampolini da cui prendere la spinta per saltare per arrivare più in alto possibile e per provare a toccare il cielo.  

Daniele si apre al lettore con una scrittura semplice e diretta, senza fronzoli, la comunicazione tipica di chi è abituato a stare in mezzo alla gente, a raccontarsi ad adulti con esperienze e un vissuto diverso dal suo,  ma anche a farsi comprendere dai bambini.

Perché Daniele che ha anche fondato un’associazione che si occupa della promozione dello sport e di attività sociali legate al mondo e non.

Il vento contro è un libro che si legge per la forza del messaggio che contiene: quando guardi oltre, tutto è possibile.

Che non deve essere confuso con facile da realizzare, scontato o regalato, ma possibile.

E che soprattutto, che alla fine, ne vale sempre la pena.

Per maggiori informazioni su Daniele Cassioli e l’attività della sua associazione puoi visitare i siti web:

www.danielecassioli.it

www.sportrealeyes.it

Puoi acquistare il libro anche su Amazon, per accedere allo shop clicca QUI.

Paola Cavioni

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Righe su “Il conformista” di Alberto Moravia

“Ogni scrittore è una chiave per aprire la porta della realtà”

(da un’intervista di Alberto Moravia)

Alberto Pincherle Moravia nasce a Roma il 28 novembre 1907 e muore nel 1990 dopo una vita iniziata in salita con i frequenti ricoveri nei sanatori sulle Alpi per curare una grave forma di tubercolosi ossea, ma vissuta intensamente fino all’ultimo giorno: una produzione letteraria sconfinata, tre grandissime donne al suo fianco, viaggi intorno al mondo, la fama che il cinema neorealista regala alle sue storie e l’amicizia con molti personaggi di primo piano della cultura italiana come Pier Paolo Pasolini.

Oggi voglio celebrare la vita di questo straordinario narratore testimone del novecento parlandovi del suo romanzo meno amato dalla critica, tanto che spesso non viene nemmeno inserito nelle antologie scolastiche.  

Se infatti, è nota la fortuna, di pubblico e di critica, de Gli indifferenti, de La ciociara o La noia, altrettanto non si può dire de Il conformista.

A soli 44 anni, Il conformista è l’ottavo romanzo, escluse le raccolte di racconti, dello scrittore romano.

Un romanzo che parte da una domanda drammatica: può un evento traumatico nell’infanzia condizionare tutta la vita, la lettura e l’interpretazione di tutti gli avvenimenti che avvengono prima e dopo quel fatto?

Pubblicato da Bompiani nel 1951, quando l’Italia sta ricostruendo quanto distrutto dalle bombe, Il conformista riprende molti temi già presenti nelle opere precedenti (ma anche successive) dell’autore: la decadenza della società borghese votata inconsciamente all’apparenza e ai rapporti stereotipati, il giudizio complessivo di fallimento della società occidentale durante la seconda guerra mondiale e nel periodo appena successivo, con l’inizio della Guerra Fredda, la tensione sessuale che guida i pensieri e le azioni dei suoi personaggi, ma anche la frustrazione per una sessualità mai apertamente vissuta, o peggio, subita, il tradimento come norma nei rapporti umani.

Mors tua, vita mea, una narrativa che non prevede eroi, come nella più pessimistica visione dell’esistenza umana.  

Il conformista è un romanzo in tre atti che ripercorre la vita del protagonista Marcello Clerici.

Il titolo, come spesso accade in Moravia, è un manifesto: programmatico e predittivo rispetto al contenuto della storia.

La narrazione è in terza persona, con uno stile discorsivo che somiglia quasi alla voce fuori campo di un film.  

Nel Prologo del libro, che è il primo atto, troviamo Marcello adolescente. L’adolescenza, età molto indagata dalla penna di Moravia: periodo della vita che può essere pieno di tormenti ma anche curiosità nei confronti dell’esistenza e del mondo, di ricerca di identità certezze e conferme.

Nella vita di questo adolescente ad un certo punto compare un personaggio ambiguo, Lino, che con il suo agire determina in modo definitivo la rotta che la vita di Marcello dovrà prendere per sempre: il ragazzo non vuole più, da quel momento in poi, sentirsi diverso dagli altri, avere pensieri differenti (o che crede erroneamente che siano differenti) da quelli degli altri, dei suoi coetanei.

Nell’età adulta, questa ricerca ossessiva verso il volersi sentire uguale agli altri, spinge il protagonista ad aderire al movimento fascista (nel secondo atto siamo nel momento appena precedente allo scoppio della seconda guerra mondiale) nel modo forse più facile: diventare una spia alla ricerca dei nemici del duce. Poco importa se questi “traditori della patria” sono persone che lui conosce molto bene, come un suo vecchio professore stabilitosi in Francia.

Marcello parte alla volta di Parigi, mascherando la sua missione con il viaggio di nozze insieme alla moglie Giulia, per trovare il professore e consegnarlo nelle mani dei suoi sicari.

Da quel momento inizia inesorabilmente il suo viaggio di non ritorno verso il punto più basso verso la morale umana, una a-moralità, con una visione del tutto distorta di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Un vortice discendente da cui sembra salvarsi, ma non del tutto, solo la moglie Giulia, personaggio che ha comunque dei lati oscuri e nascosti.

Si arriva così al terzo e ultimo atto, che chiude il cerchio e le fila di una vita che ricorda quella di certi inetti così cari alla letteratura italiana a cavallo fra otto e novecento.

Leggendo le pagine di questo romanzo fa impressione pensare che molti dei fatti narrati sono tratti dalla biografia del suo autore, a partire dall’anno di nascita del protagonista Marcello che viene fatto nascere 1907 esattamente come Moravia.

C’è poi il tema dell’adesione al fascismo, che Alberto conosce molto bene essendo stato tacciato di pornografia dal regime, costretto a pubblicare dietro pseudonimo e poi alla fuga dopo l’8 settembre, e il tema dell’omicidio politico.

Nel 1937, infatti, Carlo e Nello Rosselli, cugini di Moravia, vengono assassinati in Normandia per mano di un’organizzazione filofascista francese.

Non mi soffermo a elencare i motivi per i quali quest’opera è così poco amata dalla critica; personalmente credo che sia assolutamente da scoprire e comprendere, soprattutto visto che il tema del conformismo, che può portare anche agli esiti catastrofici che sono sotto gli occhi di tutti sotto forma di violenza di branco e bullismo, è sempre presente all’interno della società.

Il conformista è  un romanzo di segreti e rivelazioni, di calma sulla superficie a nascondere la tormenta e il terremoto che da sempre scuote l’animo umano.

Paola Cavioni

28 novembre 2021

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Ricordi d’autunno

E poi in questi giorni è arrivato il freddo, quello vero.

Quello che nasconde il sole presto ancor prima della sera,

che porta la nebbia in pianura e fa scavare le buche alle rane in campagna.

Il freddo che ha l’odore dei camini accesi e dell’umido metallico della terra.  

Distese di foglie cadute che disegnano tramonti infuocati.

È l’autunno che finalmente sboccia con i suoi colori.

Esattamente come fa, ma più altezzosa, la primavera ad aprile.

È l’autunno che per me ha il color seppia delle fotografie e dei ricordi di bambina.  

Ricordi di mani calde, grandi, molto più grandi,

che avvolgono le mie nelle tasche dei primi cappotti.

Una danza infinita di candele in fila, l’odore penetrante dei fiori il giorno dei morti.

Il rumore dei passi lenti della nonna

e il picchiettare asciutto dei grani del rosario fra le sue dita.

Paola Cavioni

Landriano, novembre 2021

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Righe su “Per un pò” di Niccolò Agliardi e anche un pò su di me…

“È primavera da pochi giorni, e il cielo sereno filtra dal parabrezza della macchina ancora sporca di pioggia e polvere depositate dagli ultimi colpi dell’inverno. Io non ho smesso di combattere contro la mia malinconia, contro quella solitudine esasperata e invisibile che a ogni nuovo giro di carte, da qualche anno, batte il banco e si porta via il malloppo. Eppure sono un uomo fortunato, lo riconosce la mia ragione, ho una famiglia scomposta ma presente a ogni mio richiamo, ho buoni amici e un corpo in salute nonostante la mente si ostini sporadicamente a lanciare falsi segnali di vere ipocondrie.

L’anima no, non è ancora in porto. Di certo ho attraversato burrasche peggiori, ma so che per le acque calme c’è ancora bisogno di tempo e di molte miglia.”

(Niccolò Agliardi)

Spoiler: volevo scrivere un post a misura di Instagram ma non ci sono riuscita.

Dovrete avere la pazienza di leggere di più di 2200 caratteri e 30 hashtag, ma è un bel po’ che non scrivo quindi so che mi perdonerete la lunghezza del post perché per arrivare dove devo arrivare sono obbligata a fare una piccola digressione che parte dal mio personale.

Nel maggio scorso dopo più sei anni ho cambiato lavoro.

Uscire dalla mia zona di comfort non è stato facile, proprio per niente, soprattutto dopo più di un anno fra lockdown e didattica a distanza.

È stato difficile abbandonare routine e percorsi conosciuti, lasciare la sicurezza di relazioni consolidate, saltare nel vuoto di una nuova realtà, con nuovi orari e responsabilità.

Giorni intensi in cui il sano entusiasmo tipico di tutte le cose nuove che iniziano si alternava a più di un umano timore.

Sarei riuscita a svolgere bene il mio nuovo lavoro?

Mi sarei integrata con il gruppo di nuovi colleghi?

Stavo facendo la cosa giusta per me e per i miei figli?

Avevo paura perché tutto stava capitando in un momento in cui la mia famiglia richiedeva ancora tante attenzioni: le conseguenze emotive della perdita di mio papà lo scorso anno, mia figlia Gaia che si stava ristabilendo dopo un brutto incidente in bicicletta, mio figlio Francesco nel pieno della fase dei “terribili tre”. Insomma, un casino.

Questa è stata la cornice personale del mio arrivo in Fondazione L’Albero della Vita Onlus come Coordinatore delle Risorse Umane.

Paura, gioia, entusiasmo unite alla consapevolezza di essere davanti al coronamento di un sogno personale che credevo quasi impossibile: lavorare in una ONG.

Una ONG, quanto di più umano ci possa essere, per una come me che ha scelto di lavorare nel settore delle Risorse Umane perché convinta che le persone non siano solo numeri di matricola.

In questa nuova realtà ho scoperto e sto scoprendo ogni giorno la bellezza della gentilezza come modalità di approccio tra colleghi e fra superiori e collaboratori.

Sto conoscendo persone che, da varie strade, sono arrivate a lavorare per una Onlus lasciando anche lavori molto più pagati ma meno appaganti.

Mi sto gustando ogni giorni la soddisfazione di tornare a casa alla sera consapevole di avere contribuito, per la mia piccolissima parte, al lavoro di persone che si prestano al servizio del prossimo, nei contesti più difficili, in favore di quella silenziosa massa che vive ai margini della società.

Ma soprattutto sto scoprendo moltissime storie legate all’attività che Fondazione L’albero della Vita Onlus svolge da più di vent’anni in Italia e nel mondo.

Come le tante piccole e grandi storie legate al progetto dell’affido familiare, istituto importantissimo per la tutela dell’infanzia e della adolescenza.

È proprio da questa voglia di conoscere sempre meglio la mia nuova realtà lavorativa che sono arrivata al libro di Niccolò Agliardi, Per un po’. Storia di un amore possibile (Salani Editore).

Un romanzo ma una storia vera allo stesso tempo.

Niccolò Agliardi è un cantautore, autore e scrittore milanese. Ha 40 anni, una famiglia, degli amici, una vita indipendente, viaggia molto. Un uomo realizzato, certo ogni tanto ha qualche attacco di panico, ma chi non ne ha nella nostra società?

E poi diverse storie d’amore anche importanti ma tutte ormai finite.

E in questa vita che si divide fra musica e scrittura, Niccolò sente che c’è uno spazio che può essere colmato. Anzi, uno spazio che può essere donato.

Donato rendendosi disponibile, e risultando idoneo, per un affido familiare, una particolare forma di affido chiamato prosieguo amministrativo.

Così Niccolò diventa genitore affidatario di Federico, Chicco, che è un ragazzo già maggiorenne, segnato da una vita difficile, con più di un affido precedente terminato male e una madre fragile e inconsapevole di quanto la sua assenza pesi sulla vita del figlio.

L’affido di Federico viene seguito dal personale educativo proprio de L’Albero della Vita, che affianca tanti genitori come Niccolò nel percorso spesso emotivamente pesante di una genitorialità differente, che non inizia con una gestazione, ma da un atto di amore altruistico.

In Per un po’ Agliardi racconta il cammino insieme a Federico, le cui fragilità lo obbligano a fare i conti con le proprie zone d’ombra e tutto il non risolto della sua vita.  

Un cammino pieno di difficoltà nel tentativo di diventare solo un padre e un figlio. Anche solo per un po’.

Ci saranno dei passaggi che vi faranno piangere, altri che vi faranno arrabbiare, altri ancora in cui ritroverete anche un pezzo della vostra storia.

Perché questa storia non è una favola, non ci sono buoni e cattivi. Questa è solo e semplicemente vita vera.

Per un po’ è va letto con il cuore aperto e con la consapevolezza che ci sono delle esistenze che precedono l’inizio del racconto e continuano dopo la fine del libro.

Mi sono ritrovata molto nella profondità delle riflessioni di Niccolò e lo ringrazio per avere regalato al mondo una storia così personale, mettendosi a nudo anche davanti agli occhi troppo spesso giudicanti degli altri genitori.

Per questo per poter parlare di Per un po’, ho sentito che dovevo donarvi anche un piccolo pezzo della mia storia.

E vi ringrazio per avermi letta.

Paola

Per un po’. Storia di un amore possibile è acquistabile anche su Amazon. Clicca QUI per andare direttamente al negozio online.

Se volete conoscere tutte le attività di Fondazione L’Albero della Vita potete visitare il sito web https://www.alberodellavita.org/

Ciao e benvenuto/a!

Io sono Paola, dal 2015 Righediarte è il mio blog, il luogo nel quale condivido la passione che mi anima da che ho memoria: la scrittura. Ricordo ancora l’emozione del primo tema letto di fronte a tutta la classe quando ero bambina. Quella emozione è stessa che metto dentro a ogni mio post, a ogni racconto, ogni poesia che qui condivido con chiunque abbia voglia di leggere e magari lasciare un commento.

L’altra mia più grande passione? Che domanda, i libri! Su Righediarte trovi tante recensioni di libri, senza un ordine preciso perché amo spaziare in ogni ambito della narrativa.

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“Torno a casa a piedi” di Jack Jaselli

“Esattamente due anni fa partivo per il mio tour musicale a piedi lungo la Via Francigena.

800 km con zaino e chitarra in spalla. Chilometri di passi, incontri, avventure incredibili e ovviamente musica.

Questo viaggio è diventato un libro. Non vedevo l’ora di dirvelo.”

Jack Jaselli, 13 aprile 2021

Jack Jaselli sul palco della edizione 2020 di Lungo La Strada (Il Portichetto Landriano, Pavia).

In questo primo lunedì di maggio lascio da parte l’appuntamento con i Lune-dì scrittura, dedicati allo storytelling, per parlare invece di Torno a casa a piedi, primo libro del cantautore milanese Jack Jaselli uscito il 27 aprile per DeAgostini.

Chi segue il blog da tempo sa che amo raccontare i libri più che scrivere delle vere e proprie recensioni. In questo caso la premessa è dovuta: conosco personalmente Jack Jaselli dato che ha partecipato a più di una edizione di un evento musicale che si tiene ogni anno nel mio paese, Landriano (in provincia di Pavia), un festival di musica e arte chiamato Lungo la Strada, nato in ricordo di mio fratello Stefano scomparso prematuramente nel 2008.

Sono ovviamente molto legata a questo evento e a tutti gli artisti che negli anni vi hanno partecipato.

La stima che provo per Jack Jaselli come musicista, ma soprattutto come persona dalla grandissima sensibilità e umiltà, è difficilmente riassumibile in poche righe e mi risulta complicato scindere l’autore dal contenuto del libro.

Ma al contrario, mi viene molto semplice raccontarvi perché dovreste leggere Torno a casa a piedi, che io ho letteralmente divorato in una notte di settimana scorsa.

Partiamo da un presupposto: Jack è una di quelle persone con cui partiresti subito per un viaggio all’avventura, con lo zaino in spalla, il sacco a pelo e una manciata di accordi nella chitarra. Un’anima buona.

È un musicista unico nel panorama italiano contemporaneo, difficilmente collocabile in un solo genere: timbro vocale soul e uno stile che sfonda limiti e definizioni passando dal rock al pop, dal folk al blues. Una musica che risente di influenze internazionali, soprattutto statunitensi, tanto che i suoi primi album sono integralmente in inglese. Un crossover musicale che sa di California e di estate, di gavetta nei locali milanesi, di strada e di emozioni. In sintesi, se non conoscete le sue canzoni vi invito a cercarlo su YouTube a comprare i suoi album, capirete subito cosa intendo.

“Si va avanti con il cuore, mica con le gambe.”

Jack Jaselli, Torno a casa a piedi

Dopo anni di meritati successi musicali (giusto un paio di esempi: ha suonato con artisti internazionali come Ben Harper e Jack Savoretti e nel 2016 ha firmato la colonna sonora, insieme a Lorenzo Jovanotti, del film L’estate addosso di Gabriele Muccino) nel 2021 Jack approda alla carta stampata.

Torno a casa piedi racconta un’esperienza forte e totalizzante: il  cammino lungo la via Francigena, che Jack compie nella primavera del 2019, prima di pandemie, lockdown e distanziamento sociale, quando lui, come tanti altri artisti, si nutriva di concerti e live.

Ottocento chilometri da Pavia a Roma, suddivisi in circa trenta tappe e con quindici concerti lungo il percorso.

La copertina di Torno a casa a piedi (DeAgostini)

Jaselli ha quindi percorso una buona parte del tratto italiano della antica via che portava i pellegrini dal nord Europa fino al nostro paese, fino alla Città Eterna.  

Nessun cammino è uguale a un altro, nessuna esperienza è sovrapponibile a quella dei nostri compagni di viaggio, neanche nella medesima fatica: in Torno a casa a piedi Jack Jaselli ci parla del suo approccio laico e curioso alla Francigena, raccontando ogni tappa del viaggio con uno stile che scorre piacevole e veloce come lo slide sulla chitarra. Unendo ricordi della sua vita a riflessioni sul senso del cammino (e pensare che neanche amava camminare, da buon milanese…), Jack condivide anche i momenti vissuti con le persone incontrate nel lungo percorso che ha affrontato nonostante le difficoltà, prima fra tutte la pioggia quasi incessante nel maggio più piovoso degli ultimi vent’anni.

Ogni capitolo una tappa, ogni tappa un nuovo paese e le parole di una canzone come sottotitolo, una scintilla per accendere la curiosità del lettore e portarlo nel punto esatto da dove Jack ci scrive, regalandoci quanto conservato nel suo diario di bordo.

Un libro sul cammino che diventa metafora di ricerca interiore, un viaggio fra il silenzio della natura e il suono della piccola chitarra con cui Jack ha accompagnato i suoi concerti; nota di colore, si tratta di una minuscola chitarra  in formato “tascabile” affettuosamente soprannominata Il Garpez come la gamba di legno del film di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Un libro da scoprire per scoprirsi alla fine un po’ tutti pellegrini in questa vita, tutti con la voglia di partire per un nuovo viaggio, ognuno alla ricerca delle proprie risposte e della colonna sonora perfetta.

Vi lascio con il video di una canzone di Jack di qualche anno fa, una delle mie preferite.

Enjoy.

Per maggiori informazioni su Jack Jaselli puoi visitare il sito web ufficiale e le sue pagine social:

https://jackjaselli.com/

https://www.instagram.com/jackjaselli/?hl=it

https://www.facebook.com/jackjaselliofficial

Trovi la registrazione del documentario “Torno a casa”, trasmesso a ottobre 2019 su Discovery+, a questo link:

https://www.discoveryplus.it/programmi/torno-a-casa

Puoi acquistare il libro anche su Amazon, per essere reindirizzato direttamente allo shop dal link affiliazione di Righediarte clicca QUI.

Paola Cavioni

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Lune-dì Scrittura, pillole di storytelling: l’incipit

“Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l’abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza aspettare che, cinquant’anni dopo, i suoi quaderni sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso errore.”

“Jem, mio fratello, aveva quasi tredici anni all’epoca in cui si ruppe malamente il gomito sinistro. Quando guarì e gli passarono i timori di dover smettere di giocare a rugby, Jem non ci pensò quasi più. Il braccio sinistro gli era rimasto un po’ più corto del destro; in piedi o camminando, il dorso della mano sinistra faceva un angolo retto con il corpo, e il pollice stava parallelo alla coscia, ma a Jem non importava un bel nulla; gli bastava poter continuare a giocare, poter passare o prendere il pallone al volo.”

“Naturalmente, un manoscritto. Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d’après l’édition de Don J. Mabillon (Aux Presses de l’Abbaye de la Source, Paris, 1842). Il libro, corredato di indicazioni storiche invero assai povere, asseriva di riprodurre fedelmente un manoscritto del XIV secolo, a sua volta trovato nel monastero di Melk dal grande erudito secentesco, a cui tanto si deve per la storia dell’ordine benedettino. La dotta trouvaille (mia, terza dunque nel tempo) mi rallegrava mentre mi trovavo a Praga in attesa di una persona cara. Sei giorni dopo le truppe sovietiche invadevano la sventurata città. Riuscivo fortunosamente a raggiungere la frontiera austriaca a Linz, di lì mi portavo a Vienna dove mi ricongiungevo con la persona attesa, e insieme risalivamo il corso del Danubio.”

“Tutti parlavano del libro. Non potevo più camminare in pace per le strade di New York; non potevo più fare jogging nei vialetti di Central Park senza che qualche passante mi riconoscesse ed esclamasse: “Ehi, è Goldman! Lo scrittore!”. Capitava perfino che alcuni si mettessero a correre per seguirmi e farmi le domande che li assillavano […].”

“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.”

Li avete riconosciuti?

Sono cinque incipit di altrettanti famosi romanzi contemporanei (qualcuno più contemporaneo di altri).

In ordine abbiamo La casa degli spiriti di Isabel Allende, Il buio oltre la siepe di Harper Lee, Il nome della rosa di Umberto Eco, La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker e Lolita di Vladimir Nabokov.

Partiamo dalla definizione, cos’e un incipit?

Il vocabolario dell’italiano contemporaneo Devoto-Oli lo definisce sinteticamente come “inizio di un’opera letteraria, di uno spettacolo o di un programma televisivo”.

In letteratura per incipit si intende una frase, o più,  di apertura, che può anche non coincidere con l’inizio della storia dal punto di vista cronologico.

“Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione”.

Oscar Wilde

A cosa serve l’incipit?

In un romanzo l’incipit svolge diverse funzioni.

La prima è quella di attirare l’attenzione del fruitore dell’opera, del lettore quindi, come una sorte di esca.

La seconda, fondamentale, è quella d’introduzione all’universo narrativo del racconto.

Dalle prime frasi si può comprendere lo stile dell’autore, l’atmosfera in cui si svolge la storia; viene introdotta la voce narrante (che può anche cambiare nel corso della storia) o elementi che ritorneranno nella narrazione.

Ecco quindi che Isabel Allende introduce uno dei personaggi chiave del suo primo romanzo, Clara, insieme ad una importante anticipazione: Clara prima o poi diventerà muta.

Se vogliamo scoprire perché, dobbiamo proseguire con la lettura.

Harper Lee preferisce presentarci i protagonisti della sua storia: la voce narrante della piccola Scout, che ci parla del fratello Jem, del quale veniamo a sapere che a tredici anni si rompe un braccio, ma non conosciamo ancora il motivo…

Il nome della rosa di Umberto Eco inizia in realtà con tre incipit diversi: una finta introduzione, un prologo e l’inizio vero e proprio della storia nel Primo Giorno. Quello riportato è solo uno dei tre. Una tecnica particolare che in questo caso crea una certa aria di solennità che aleggia attorno alla storia già dalle prime pagine.  

Joël Dicker introduce il leitmotiv che accompagna tutto la storia: il suo libro. Di quale libro stiamo parlando e perché la gente ne sia così incuriosita? Anche in questo caso lo scopriremo solo alla fine. Stiamo abboccando all’amo e ancora non lo sappiamo.  

Nabokov infine con l’incipit di Lolita, famosissimo e citato spesso nei corsi di letteratura, con la sua ripetitività fa comprendere senza ombra di dubbio quando Humbert Humbert sia ossessionato dall’adolescente che da il titolo al romanzo.

L’incipit può anche coincidere con il prologo della storia che si definisce come “un’introduzione che differisce dal resto della storia per tempo, spazio o punto di vista (o tutti e tre assieme) e crea attese e curiosità per gli eventi futuri” (J.P. Morrell).

Esiste una formula per l’incipit perfetto? Ovviamente no.

È necessario provare e riprovare, andare anche per tentativi, scrivere e riscrivere. Un consiglio da manuale di scrittura creativa è però quello di non avere fretta di svelare troppi particolari, creare curiosità nel lettore senza però raccontare tutto subito.

L’incipit può essere una mano che ci accompagna dolcemente verso un nuovo viaggio oppure uno schiaffo che risveglia la coscienza e la curiosità.

È talmente importante che alcuni autori lo scrivono quando hanno terminato il romanzo.

Se è pur vero che ci sono anche storie che necessitano del tempo per carburare e diventare coinvolgenti, un buon incipit deve avere la caratteristica di non lasciare indifferenti.

Deve essere memorabile.

Se volete scoprire una selezione degli incipit più famosi della letteratura di ogni tempo potete visitare il sito web www.incipitario.com.

Pensate che il sito contiene gli incipit di oltre cinquemila opere di quasi duemila autori italiani e stranieri.

Un bacino davvero infinito di spunti di ispirazione per ogni aspirante autore, per trovare il proprio stile e scrivere un incipit indimenticabile.

Paola Cavioni

Per leggere tutte le Pillole di storytelling del lunedì clicca sul menù alla voce Lune-dì Scrittura e scorri la pagina per leggere tutti i post precedenti.

Bibliografia:

  • Isabel Allende, La casa degli spiriti (Feltrinelli Editore, 1982)
  • Joel Dicker, La verità sul caso Harry Quebert (Bompiani, 2013)
  • Umberto Eco, Il nome della rosa (Bompiani/RCS, 1980)
  • Il buio oltre la siepe, Harper Lee (Feltrinelli editore, 1962)
  • Lolita, Vladimir Nabokov (1955)
  • Nuovo Devoto – Oli, Vocabolario dell’italiano contemporaneo
  • Jessica Page Morrell, Master in scrittura creativa (Dino Audino Editore, 2007)

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